Il card. Zen e i cattolici protestano contro Pechino sulla sorte di mons. Cosma Shi Enxiang
di Victoria Ma
Il governo cinese non dice se il vescovo di Yixian è vivo o morto. Rose bianche e garofani per onorare i vescovi deceduti in prigione e quelli ancora vivi, ma in carcere. Le autorità cinesi violano la loro stessa Costituzione. Richiesta la liberazione di mons. Su Zhimin, da 17 anni scomparso nelle mani della polizia.

Hong Kong (AsiaNews) - Il governo cinese deve dire la verità sulla situazione di mons. Cosma Shi Enxiang di Yixian (Hebei) - che alcuni dicono sia morto in carcere - e la sorte di altri religiosi scomparsi nelle mani della polizia. E' quanto ha chiesto oggi il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, con una protesta davanti al China Liaison Office di Hong Kong, l'ufficio di rappresentanza della Cina nel territorio.

Insieme al card. Zen, ancora convalescente da una lunga influenza, alla dimostrazione hanno partecipato membri della commissione Giustizia e pace della diocesi.

I dimostranti hanno ricordato diversi vescovi cinesi morti in detenzione negli ultimi 20 anni: mons. Giuseppe Fan Xueyan di Baoding (Hebei); mons. Giovanni Han Dingxiang di Yongnian (Hebei); mons. Giovanni Gao Kexian di Yantai e Zhoucun (Shandong).

Portando mazzi di fiori a ricordo di loro e dei sacerdoti ancora in prigione, il gruppo ha scandito slogan, intervallati da momenti di preghiera e canti religiosi. Essi hanno offerto rose bianche per i vescovi deceduti in carcere [nella cultura cinese il bianco è il colore del lutto - ndr]; i garofani erano invece per vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia e - si spera - ancora vivi.

In una dichiarazione distribuita dai manifestanti, si afferma che nelle scorse settimane sono emerse notizie riguardo la morte in carcere di mons. Cosma Shi Enxiang, "segretamente imprigionato per 14 anni senza alcun processo".

La dichiarazione fa notare che secondo alcune fonti mons. Shi è morto almeno due anni fa; alcune fonti ecclesiali dicono che il governo cinese ha proibito ogni informazione al riguardo e si rifiuta di dare indicazioni sul luogo e sulla situazione di mons. Shi, rendendo impossibile sapere se il vescovo di Yongnian è vivo o morto.

Mons. Shi, nato nel 1922, è stato in prigione per più di 50 anni. Il 13 aprile del 2001, un Venerdì Santo, è stato arrestato a Pechino in casa di sua nipote. Da allora non si conosce niente di lui e nessuno sa se egli è vivo o morto.

La dichiarazione di Giustizia e pace afferma: "La forzata sparizione di mons. Shi è una pesante violazione ai diritti umani. Il silenzio attuale sulla sua sorte, se è vivo o è morto, nei confronti dei familiari, è un atto al massimo della disumanità".

I dimostranti domandano con forza che il governo cinese dica in pubblico la verità su mons. Shi, se è vivo o morto. E se è morto, che le autorità consegnino la salma o le ceneri alla famiglia per i funerali.

I dimostranti esigono la verità anche sulla sorte di un altro vescovo scomparso nelle mani della polizia, mons. Giacomo Su Zhimin di Baoding (Hebei). In passato egli è stato imprigionato molte volte per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica. Dal suo ultimo arresto, nell'ottobre 1997, da 17 anni non si sa più niente di lui.

Alcune settimane fa i familiari di mons. Su hanno cercato di presentare una petizione a Yu Zhengsheng, un membro del Comitato permanente del Politburo, che ha visitato Baoding, ma sono stati arrestati e tenuti in isolamento in un hotel per tre giorni. "E' stata - afferma la dichiarazione - una seria violazione dell'art.37 della Costituzione cinese sulle libertà civili".

I cattolici hanno ricordato i due pastori scomparsi e le loro lunghe sofferenze in difesa della libertà religiosa e della fede cattolica, onorandoli con devozione. Allo stesso tempo hanno criticato il governo cinese per i suoi metodi di forzate sparizioni e hanno domandato pieno rispetto per il diritto alla libertà religiosa di tutti i cittadini.

I dimostranti esigono l'immediata liberazione di mons. Su e di tutti i sacerdoti cattolici detenuti in prigione o nei campi di lavoro forzato, insieme alla fine del controllo poliziesco sulle loro azioni.