La Corea aderirà alla “Super Banca” asiatica, Washington tentenna
Lanciata da Pechino, la Asian Infrastructure Investment Bank vuole limitare l’influenza statunitense in Asia e frenare la dipendenza degli Stati continentali dal Fondo monetario internazionale. Seoul accetta il potere di veto della Cina e costringe gli Stati Uniti a ripensare l’adesione. Già dentro Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna.

Seoul (AsiaNews) – Dopo una lunga gestazione, il governo della Corea del Sud ha annunciato che entrerà come membro fondatore nella Asian Infrastructure Investment Bank, la “Super Banca” asiatica lanciata da Pechino nel maggio 2014 con la speranza di limitare le influenze americane ed europee nel continente. Con un comunicato del ministero delle Finanze, Seoul ha anche chiarito che “accetta” il potere di veto che Pechino si è riservato in quanto maggior azionista e fondatore della struttura.

Tuttavia, spiega ancora il dicastero, “il nostro governo ha chiesto e ottenuto che vi fossero dei miglioramenti riguardo i rapporti fra le strutture interne alla Banca e gli Stati membri. Inoltre abbiamo posto dei paletti sulla trasparenza e sulla sostenibilità del debito, temi su cui sono stati fatti grandi progressi”.

Seoul ha anche glissato sulla questione del veto: Pechino, in quanto primo azionista con circa 50 miliardi di dollari e Stato fondatore, ha proposto nella bozza di costituzione della Banca un intricato sistema di veti che di fatto le dà predominanza sugli altri membri. Dopo alcune rimostranze Hua Chunying, portavoce del ministero cinese degli Esteri, ha chiarito che “è impossibile” per il suo governo rinunciare a questa prerogativa.

Con l’adesione della Corea del Sud e quella, annunciata all’inizio della settimana, di diversi Stati europei – fra cui Gran Bretagna, Italia, Francia e Germania – rimangono fuori in pratica soltanto Stati Uniti e Giappone. I due controllano la Banca mondiale e l’Asian Development Bank, e la decisione di fondare la “Super Banca” è un tentativo di spezzare la loro egemonia sulle nazioni in via di sviluppo.

In pratica, il governo cinese propone prestiti ai governi asiatici a "interessi zero" senza imporre quelli che sono i canoni standard per le trattative internazionali: nessuna pressione interna, nessuna richiesta di riforme politiche o di garanzie a lungo termine. Pechino chiede sostegno nelle arene internazionali – come le Nazioni Unite, l'Asean o la Corte penale dell'Aja – per quanto riguarda le proprie questioni interne: Tibet, Xinjiang e Taiwan. Inoltre, vuole il voto favorevole in tutte le controversie che riguardano le acque e le terre contese, come quelle del Mar cinese (orientale e meridionale) e il confine con l'India.

Da un punto di vista globale, il progetto della "Super Banca" si propone di emarginare la presenza americana in Asia. Mettendo da parte l'Adb, la speranza è quella di ribaltare il cosiddetto "Washington Consensus", ovvero l'egemonia statunitense nelle questioni prima asiatiche e poi mondiali.

Il governo americano, che in un primo momento aveva negato con forza “alcun interesse” sulla questione, inizia a tentennare. Una fonte del Dipartimento di Stato ha chiarito che “si sta studiando la situazione” anche alla luce delle nuove adesioni, e che “non è ancora detto” che l’esecutivo Usa ne resti fuori.