Divisioni in seno all’Asean, niente linea dura contro Pechino nel mar Cinese meridionale
Il presidente filippino Aquino aveva denunciato le derive imperialiste della Cina nei mari, una minaccia “alla sicurezza e stabilità della regione”. Il premier malaysiano, padrone di casa, smorza i torni e nega “confronti diretti”. Si lavora per un codice di condotta e secondo un approccio “non conflittuale” nella gestione delle controversie.

Kuala Lumpur (AsiaNews/Agenzie) - I Paesi del Sud-est asiatico eviteranno “confronti diretti” con Pechino, ma si impegnano a lavorare per la veloce approvazione di un codice di condotta per regolare le tensioni nei territori contesi del mar Cinese meridionale. È quanto ha sottolineato il premier malaysiano Najib Razak, intervenendo al 26mo congresso annuale dell’Asean - Associazione che riunisce 10 nazioni del Sud-est asiatico - in programma il 26 e 27 aprile a Kuala Lumpur. Il leader malaysiano, padrone di casa, ha confermato l’approccio “non conflittuale” nella gestione delle controversie nei mari e rilanciato il “rapporto costruttivo” con Pechino, smorzando la politica del pugno di ferro richiesta in precedenza contro Pechino. 

“Continueremo a confrontarci in modo costruttivo con la Cina” ha affermato il premier Najib, dopo aver presieduto i lavori dell’Asean. “Speriamo di riuscire ad influenzare [la politica del] la Cina. È anche nel loro interesse non assumere un atteggiamento di sfida aperta verso l’Asean, i tentativi di destabilizzare la regione non andranno a beneficio neanche della Cina”. 

Seppur in modo indiretto, il governo malaysiano ha sconfessato la linea dura nei confronti della Cina auspicata da Manila, secondo cui Pechino avrebbe assunto un “controllo di fatto” dei territori al centro della contesa.

Intervenendo all’assemblea, il presidente filippino Benigno Aquino ha detto che le attività della Cina “pongono una seria minacce alla sicurezza e alla stabilità della regione” e causano un “danno irreparabile all’ambiente marino e minacciano la sopravvivenza di molti popoli”. Per questo il governo di Manila ha esortato l’Asean a unirsi e mostrare la volontà politica di opporsi ad “attività che fomentano le tensioni”. 

A poche ore dalla fine del vertice sembrava che il documento conclusivo potesse assumere, per la prima volta, toni duri contro la politica cinese nei mari. Tuttavia, la conferenza stampa finale del premier malaysiano ha confermato la linea morbida dell’Asean, che ancora una volta si è ben guardata dal condannare il temuto gigante cinese. 

In passato Manila ha accusato la Cambogia, stretto alleato della Cina nella regione Asia-pacifico, di inchinarsi alle pressioni di Pechino bloccando l'inserimento nei documenti Asean di dichiarazioni e menzioni che il governo cinese avrebbe trovato sgradevoli. Proprio per questo motivo, nel luglio 2012 un summit Asean si è chiuso senza dichiarazione finale

Da tempo Hanoi e Manila - che per prima ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu, che non ha valore vincolante - manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale. Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende le Spratly e le Paracel, isole contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori).

A sostenere i Paesi del Sud-Est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue" usata da Pechino per marcare il territorio, fino a comprenderne quasi l'80% dei 3,5 milioni di kmq.

L'egemonia riveste un carattere strategico per lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area dell'Asia-Pacifico di elevato interesse economico e geopolitico.