Braccati e minacciati di morte: il dramma di una famiglia pakistana convertita al cristianesimo
di Stephen John
Dal 2006 la coppia, con due figli, è oggetto di persecuzioni da parte di esponenti della comunità musulmana. Dietro gli attacchi la decisione della donna di abbracciare la fede del marito. A nulla sono valse le denunce alla polizia. Dopo anni di traslochi e fughe, ora la famiglia vive in un luogo nascosto. Attivisti pro-diritti umani: "Garantire diritti e libertà religiosa, come da Costituzione".

Islamabad (AsiaNews) - Una vita in fuga, braccati e oggetto di minacce e attacchi a colpi di arma da fuoco, per essersi convertiti al cristianesimo e aver voluto crescere ed educare i figli secondo gli insegnamenti di Gesù. È questa la drammatica vicenda di una famiglia cristiana, che ha viaggiato per anni (invano) in diverse zone del Paese in cerca di un rifugio sicuro. Ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni, si ritrovano soli e disperati, senza un lavoro per soddisfare i bisogni della famiglia. AsiaNews ha raccolto la loro drammatica vicenda e ha voluto raccontarla, cambiando i nomi dei protagonisti e i luoghi a tutela della loro incolumità, rilanciando al contempo la battaglia per la libertà religiosa e i diritti dei cristiani in Pakistan. 

Amina, 29enne musulmana, ha sposato il 34 cristiano Salamat Masih nel maggio 2006. La famiglia della donna si è subito opposta alle nozze e aveva già combinato un altro matrimonio con una persona di loro fiducia, musulmano. Tuttavia la donna non ha voluto cedere alle pressioni dei familiari, decidendo così di sposare il compagno. 

I due avrebbero desiderato unirsi secondo il rito cristiano, ma un pastore protestante non ha voluto celebrare la funzione nel timore di ritorsioni da parte dei parenti della donna. Nel frattempo i familiari di lei hanno presentato denuncia per stupro e sequestro di persona. 

Nel timore di un arresto, Amina e Salamat si sono così sposati secondo la legge islamica costringendo l’uomo, un cristiano, a convertirsi alla fede di Maometto perché secondo la tradizione musulmana una donna non può sposare un fedele di altre religioni. A garanzia della validità del rito sono stati nominati due “tutori”, Asim Naveed e Kareem Ahmad, due musulmani di stretta osservanza orgogliosi di aver “convertito” un cristiano all’islam. Per questo entrambi hanno conquistato stima e rispetto all’interno della loro comunità. 

La coppia di “tutori” musulmana ha costretto i due sposi a trasferirsi a Sadar, cittadina nei pressi di Karachi, osservando i riti e i precetti della tradizione fra cui il digiuno nel mese di Ramadan. Amina e Salmat non volevano però vivere da musulmani e hanno cercato contatti con la chiesa locale per unirsi secondo il rito cristiano e tornare in seno alla comunità cristiana. Il 26 ottobre dello stesso anno, una comunità della città ha acconsentito ad accoglierli e a benedire le nozze in gran segreto, nel timore di rappresaglie o vendette da parte dei musulmani.

La notizia è rimasta nascosta per poco tempo e in breve la coppia, che nel frattempo ha dato alla luce due figlie, ha iniziato a ricevere minacce e attacchi, a cominciare proprio dalla coppia di “tutori” musulmani che avevano testimoniato alle nozze secondo il rito islamico. Le continue minacce e pressioni hanno scatenato un quadro di depressione nella donna che, incinta, ha partorito un bambino già morto. Anche la morte del figlio è diventata pretesto per abusi e minacce: al padre viene imposto di seppellire il neonato secondo il rito islamico; egli rifiuta e lo tumula in un cimitero cristiano, dando alla comunità musulmana una ragione in più per perseguitare la famiglia. 

Temendo per la propria vita, la famiglia inizia un lungo peregrinare per città, case e rifugi (spesso temporanei) diversi; questo non impedisce alla comunità musulmana di origine, e in particolare ai due “tutori” di rintracciarli e, ogni volta, di rinnovare le minacce e pressioni. Due anni fa le minacce si sono concretizzate in un attacco vero e proprio a colpi di pistola: i proiettili hanno centrato l’uomo alla gamba, poi gli assalitori lo hanno investito con la motocicletta. Solo la presenza di alcune persone sul luogo dell’attacco ha impedito l’uccisione di Salamat Masih il quale, ancora oggi, porta le conseguenze dell’incidente. Difatti, a causa delle precarie condizioni economiche in cui versa la famiglia, egli non ha mai potuto curarsi in modo corretto e non ha più ripreso una piena funzionalità dell’arto; una menomazione che limita le possibilità di trovare impieghi e lavoro, complicando ancor più una realtà familiare già di per sé precaria. 

Anche le famiglie di origine della coppia non sono più in grado di prestare loro aiuto e soccorso, nel timore di vendette e assalti da parte della comunità musulmana. E lo stesso discorso vale per i colleghi di lavoro e gli amici che, nel tempo, si sono alternati nel tentativo di prestare aiuto e accoglienza alla famiglia. Il timore di un attacco vinceva sul desiderio di offrire soccorso. Dal marzo del 2015 i due vivono in una grande città del Pakistan, che non menzioniamo per motivi di sicurezza anche se la famiglia è già stata rintracciata una prima volta ed è stata oggetto di attacchi. A nulla è valso il tentativo di denunciare violenze e minacce alla polizia, che si è rifiutata di aprire un’inchiesta sulla vicenda. 

Da qualche settimana Amina e Salamat vivono in un luogo nascosto, senza possibilità di trovare un lavoro e condurre una vita normale. Solo grazie all’aiuto offerto da una ong locale essi riescono a soddisfare i bisogni immediati e quotidiani, anche se alla coppia e ai loro figli è capitato più volte, in passato, di andare a letto senza aver cenato. E sulla donna gravano ora anche le minacce della famiglia di origine, che vede come un disonore la scelta di sposare un cristiano e convertirsi, mentre gli assalitori continuano a circolare impuniti e pronti a colpire di nuovo. A difesa della famiglia cristiana si schiera la Commissione asiatica per i diritti umani che, citando la Costituzione del Pakistan, ricorda il principio della parità dei diritti fra cittadini. Per questo, spiega un membro, va garantita la libertà religiosa e devono essere puniti i poliziotti che non hanno adempiuto al loro dovere.