Seoul, il Parlamento impone alle religioni di “pagare le tasse sul reddito”
Il dibattito va avanti da circa 40 anni. I sostenitori del pagamento delle tasse puntano il dito contro le proprietà immobiliari e le donazioni extra-stipendio, ritenuti “benefit illegali”. I contrari spiegano: “In questo modo le attività religiose vengono equiparate a quelle commerciali”. In vigore dal 2018, il nuovo regime spaventa la politica: i protestanti hanno molta influenza sulle elezioni, e le presidenziali sono per il 2017. I sacerdoti diocesani cattolici versano allo Stato in maniera volontaria il 10% del proprio stipendio dalla metà degli anni ’90.

Seoul (AsiaNews) – Con una votazione conclusa poco dopo la mezzanotte, il Parlamento della Corea del Sud ha approvato un nuovo regime fiscale che impone al clero di ogni religione nazionale di pagare le tasse sui propri guadagni. I voti favorevoli sono stati 195, con 50 astenuti e 20 contrari. Il voto chiude, per ora, un dibattito che dura da circa 40 anni, ovvero da quando il governo autoritario dei generali – dopo la guerra civile del 1950 – decise l’esenzione totale per i religiosi di ogni fede.

Secondo il nuovo regolamento, che entrerà in vigore nell’anno fiscale 2018, si pagherà secondo una scala di reddito: chi guadagna fino a 40 milioni di won l’anno (circa 32mila euro) pagherà una tassazione sul 20% in tasse, ma chi supera i 150 milioni di won (circa 122mila euro) potrebbe arrivare a pagare sull’80%. Più nebulosa la questione dei beni immobili, che saranno tassati secondo il loro valore catastale “una tantum” a meno che non ospitino esercizi commerciali. In questo secondo caso potrebbero essere equiparati a negozi.

La Corea del Sud conta circa 360mila religiosi fra cattolici, protestanti e buddisti. Con la nuova legge, il loro guadagno diviene “stipendio religioso” e non – come è stato fino a oggi – “onorario” quindi esentasse. La Commissione delle Chiese di Corea, uno dei gruppi protestanti più conservatori del Paese, attacca questa definizione: “Tassare coloro che operano per la religione significa trasformare le messe, i rituali e le celebrazioni in attività commerciali”.

Choi Kwi-soo, portavoce della Commissione, ritiene inoltre “ingiusto” mettere sullo stesso piano i membri delle varie religioni: “I monaci buddisti e i preti cattolici possono vivere anche pagando tasse, perché non hanno famiglia. Ma quasi tutti i pastori protestanti hanno moglie e figli, e pagano già per loro”.

Tuttavia, secondo una circolare emanata dall’allora arcivescovo di Seoul – lo stimato defunto cardinale Stefano Kim Sou-hwan – i sacerdoti diocesani versano in maniera volontaria il 10% dei propri guadagni allo Stato sin dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso. E molti fanno notare che le veementi proteste della comunità protestante sono più legate alle attività extra-religiose che allo stipendio dei pastori. Negli ultimi anni, infatti, una serie di scandali che ha colpiti diverse “mega-chiese” protestanti soprattutto di Seoul hanno rivelato giri di affari milionari legati al mondo del pop coreano e dell’industria.

Rimane comunque il dubbio sul futuro del decreto: secondo un portavoce del governo, i due anni di tempo prima della sua entrata in vigore sono dovuti alla volontà di “non provocare scossoni e problemi gravi” alle comunità religiose. Ma alcuni esperti indicano in realtà il vero problema nelle prossime elezioni presidenziali, previste per il 2017. Il rischio è che proprio i protestanti – molto influenti in politica – possano decidere di sostenere soltanto chi prometterà loro di abolire la legge sulla tassazione delle religioni.