Cina: anche se in pensione, i comunisti “stiano lontani dalla religione”

Una circolare del Dipartimento per l’organizzazione del Pcc, potentissimo organo di controllo esecutivo della vita e dell’operato dei circa 88 milioni di membri del Partito, vieta ogni attività religiosa anche ai funzionari a riposo. Yu Zhengsheng, membro del Politburo, chiede alle fedi di “costruire un’ideologia religiosa con caratteristiche cinesi e socialiste”.


Pechino (AsiaNews) – I funzionari del Partito comunista cinese che raggiungono la pensione “non possono e non devono credere in alcuna religione. Allo stesso modo, non devono praticare alcuna attività religiosa. Devono mantenere chiarezza di pensiero ed essere saldi nella visione politica e nell’azione, seguendo la Commissione centrale del Partito guidata da Xi Jinping”. Lo scrive il Dipartimento per l’organizzazione del Pcc, potentissimo organo di controllo esecutivo della vita e dell’operato dei circa 88 milioni di membri della struttura.

Il governo cinese è di fatto ateo perché composto da funzionari del Partito comunista, che nei suoi documenti fondativi non riconosce il ruolo di alcuna religione. Ma la Costituzione di Pechino garantisce la libertà religiosa, pur ammettendo soltanto cinque “fedi ufficiali” (cattolicesimo, cristianesimo protestante, islam, taoismo e buddismo). I membri in carica e i dirigenti comunisti non possono praticare alcun credo: fino a oggi, invece, i pensionati vivevano in un limbo legislativo sull’argomento.

Sin dai primi mesi dall’inizio della sua presidenza, invece, Xi Jinping ha rafforzato il controllo statale sulla religione. Nel ventennio guidato prima da Jiang Zemin e poi da Hu Jintao, infatti, il Pcc rimaneva sulla carta contrario a ogni espressione religiosa: ma nel privato lasciava ai propri membri una certa libertà. Al punto che alcuni sondaggi indicavano che l’80% degli iscritti viveva “con un senso religioso”.

Ossessionato dal crollo dell’Unione Sovietica, invece, Xi ha voluto chiarire che l’appartenenza religiosa è inconciliabile con il comunismo. In un articolo pubblicato il 14 novembre 2014 sul Global Times, il presidente della Commissione per gli affari etnici e religiosi della Conferenza consultiva politica del Popolo cinese Zhu Weiqun scrive: “I membri del Partito comunista non devono e non possono credere in alcuna religione. Si tratta di un principio inamovibile, importante dal punto di vista ideologico e organizzativo, che è stato affermato sin dalla fondazione del Pcc. Non ci possono essere dubbi al riguardo”.

A chiarire che la pensione non libera dall’appartenenza al Partito arriva ora questa nuova circolare. Per i pensionati che infrangono le regole è prevista prima una sospensione e poi – in caso di recidiva – l’abolizione della pensione. Secondo una fonte governativa citata da Xinhua “le direttive sono chiare. I comunisti non credono e devono combattere i culti malvagi che avvelenano la società”. Si tratta, notano alcuni analisti, di una “rilettura” del proclama maoista secondo cui il Partito si occupa del cittadino dalla culla alla tomba: “Ora potremmo dire che il Partito opprime il cittadino per lo stesso periodo di tempo”.

Sempre la Xinhua riporta anche un incontro tra Yu Zhengsheng – presidente della Commissione consultiva politica del popolo cinese e membro del Politburo – e i leader religiosi nazionali ufficiali. Durante il meeting, Yu ha chiarito che “i gruppi religiosi di Cina devono continuare ad aggiungere alla fede le caratteristiche cinesi. Devono trasportare gli elementi positivi della religione nella società, rimanendo saldi nella costruzione di un’ideologia religiosa con caratteristiche socialiste e cinesi”.