Eppur si muove: con prudenza, c’è qualcosa di nuovo nell’incontro fra papa Francesco e Kirill
di Ieromonaco Ioann

Pur fra tante limitazioni, sobrietà e compromessi politici, l’abbraccio è un fatto inedito. Sebbene l’uniatismo sia considerato sorpassato, si difende l’esistenza e la missione dei greco-cattolici. Si sente l’influenza di Putin, ma non si benedice alcuna “guerra santa”. Si accenna a “lavorare insieme”. L’opinione di una personalità del mondo ortodosso moscovita.


Mosca (AsiaNews) - L’incontro c’è stato. È vero, dalla parte opposta del globo. È vero, organizzato in maniera quasi furtiva, a una sola settimana dall’annuncio. È vero, a porte chiuse e senza nessun gesto religioso, con un protocollo volutamente laico. Comunque, l’incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill c’è stato e costituisce un fatto, un evento che rimane nella storia. Se anche i due non avessero firmato alcun documento comune, né rilasciato alcuna dichiarazione, l’incontro stesso pone un precedente storico importante.

Gli angusti margini di manovra entro i quali si è svolto l’incontro di Cuba del 12 febbraio, visti dall’Occidente, possono apparire oscuri distinguo di sapore bizantino; dal punto di vista della logica del Patriarcato di Mosca sono inevitabili limitazioni che intendevano contenere reazioni negative da parte dei fedeli più conservatori.

Lo stesso si può dire della dichiarazione congiunta sottoscritta dai due capi spirituali, bella sotto molti aspetti, benché chiaramente risultato di trattative e compromessi diplomatici di cui si intravedono le tracce.

Il Papa e il Patriarca rendono grazie a Dio per il loro incontro storico e per la comune Tradizione che unisce le due Chiese, deplorano il fatto che cattolici e ortodossi siano privati della comunione nell’Eucarestia e auspicano che il loro incontro possa contribuire al ristabilimento dell’unità per la quale Cristo ha pregato.

I 30 punti del documento comune riguardano le persecuzioni dei cristiani (in particolare in Siria, Iraq, Medio Oriente e Nord Africa), il terrorismo coperto da motivazioni religiose, la secolarizzazione dell’Europa, la riaffermazione dei valori morali (con particolare riferimento all’istituto della famiglia). La dichiarazione considera l’uniatismo un metodo inadatto alla ricerca dell’unità tra le due Chiese, nello stesso tempo riaffermando il diritto a una vita a pieni diritti delle comunità greco-cattoliche già esistenti; deplora il conflitto in atto in Ucraina e lo scisma tra gli ortodossi nel Paese; esorta cattolici e ortodossi a considerarsi fratelli e non concorrenti e a vivere nella pace e nell’amore e collaborare fraternamente nell’annuncio della Buona Novella. Infine il Papa e il Patriarca invocano la Madre di Dio perché incoraggi alla fraternità i fedeli delle due Chiese affinché “siano riuniti, al tempo stabilito da Dio, nella pace e nell’armonia in un solo popolo di Dio, per la gloria della Santissima e indivisibile Trinità”.

E’ chiaro che alcuni di questi punti sono temi fortemente richiesti dal Patriarcato, derivanti dal “repertorio classico” delle rimostranze di Mosca nei confronti di Roma e formulati in questo documento in maniera più o meno esplicita (uniatismo, proselitismo); altri invece provengono dal repertorio del Cremlino e riflettono un desiderio del governo russo di ottenere da parte delle due Chiese l’approvazione dello status quo della sua politica internazionale (guerra in Ucraina, Siria e Medio Oriente). Tuttavia in entrambi i casi le espressioni sono ben ponderate e le posizioni espresse molto più morbide di quanto ci si potesse aspettare. Se è vero che il Papa sottoscrive per la prima volta un documento ufficiale che definisce l’uniatismo come metodo del passato (ma questa posizione è accettata da diversi nella Chiesa cattolica e Papa Francesco stesso l’aveva già fatta sua in discorsi non ufficiali), è altrettanto vero che il Patriarca sottoscrive che i greco-cattolici hanno “il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli” e questo è senz’altro più sensazionale.

A ben vedere, le parti che riguardano la politica internazionale mostrano un’ancora maggiore prudenza delle Chiese e quasi una presa di distanza dalla politica estera delle autorità statali russe. Da nessuna parte il documento ventila la possibilità di un intervento militare a difesa della pace in Sira e Medio Oriente. Quanto poi all’Ucraina, non si parla né di guerra civile, né di “lotta fratricida”, ma di scontro e conflitto, e si esortano “tutte le parti del conflitto” a astenersi dalla violenza e costruire la pace. In altri termini: un testo che vale, sia che si consideri il conflitto una guerra civile, sia che lo si ritenga un’aggressione di un altro Paese.

Al di là di questo sottile equilibrio diplomatico, ciò che colpisce maggiormente della Dichiarazione comune è il fatto che si tratta di un documento obiettivamente molto più spirituale di vari programmi di “alleanza strategica” coi cattolici fin qui avanzati da parte di qualche rappresentante del Patriarcato di Mosca.

Più che le sottigliezze diplomatiche, di questa Dichiarazione valgono, e resteranno nella storia, la costatazione della Tradizione comune alle due Chiese, il sincero rammarico per il fatto che cattolici e ortodossi “da quasi mille anni sono privati della comunione nell’Eucaristia”, l’attesa che le due Chiese ritornino alla piena unità, espressi all’inizio e alla fine del documento, così come l’esortazione ai fedeli a avere stima, rispetto e amore gli uni per gli altri e a operare insieme, che si ripete lungo tutto il testo.

Un altro fatto significativo e inedito è il titolo pontificio stesso, sopra il quale Papa Francesco ha apposto la sua firma: “Vescovo di Roma Papa della Chiesa Cattolica”. Fin dal suo primo discorsetto dalla loggia delle benedizioni in San Pietro, Papa Francesco si è presentato e si presenta prima di tutto come “vescovo di Roma”. Questa sua ecclesiologia ha un’enorme valenza ecumenica, innanzitutto nel dialogo con gli ortodossi. Un conto però sono i discorsi orali, un altro conto il titolo in calce alla firma di un documento ufficiale. È anche questo, volutamente, un fatto nuovo, che rimane nella storia. Il Papa lo ha sottolineato nel suo discorsetto dopo la firma, ponendosi esplicitamente su un piano di parità col Patriarca: “Parliamo come fratelli. Abbiamo lo stesso battesimo. Siamo vescovi”.

L’incontro di Cuba resterà nella storia della Chiesa come un primo, molto prudente e timido sforzo di riconciliazione tra le Chiese di Roma e Mosca. Tuttavia, sia l’incontro che la Dichiarazione hanno posto dei fatti inediti, creato importanti precedenti.

La prudenza voleva contenere possibili reazioni negative. Esse ci sono state, soprattutto da parte degli ambienti ultraconservatori, nazionalisti, stalinisti e filogovernativi della Chiesa russa, ma anche da parte di qualche ambiente greco-cattolico. Comunque, fin qui sono state reazioni contenute e non sorprendenti.

Sempre per ragioni di prudenza il protocollo, come già detto, non prevedeva alcuna preghiera comune. Eppure il testo della Dichiarazione comune contiene esplicitamente bellissimi brani di preghiere e i discorsi improvvisati sia del Papa, che del Patriarca, si concludono con l’invocazione orante del nome di Dio. Il Papa ha auspicato “che tutto questo sia per la gloria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, per il bene del santo popolo fedele di Dio, sotto il manto della Santa Madre di Dio”, facendo così eco all’auspicio con cui il Patriarca Kirill aveva chiuso il suo intervento: “che tramite la partecipazione della Chiesa alla vita della società moderna sia glorificato il nome santissimo e benedetto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. E’ da notarsi che se, pronunciando queste parole, il Patriarca non si è fatto il segno della croce, come vuole la tradizione di preghiera ortodossa a ogni invocazione della Trinità, dietro le sue spalle, però, i vescovi e membri della delegazione russa si sono segnati.

Nelle parole dopo la firma della Dichiarazione, il Papa si è riferito a “una serie di iniziative significative e che potranno realizzarsi” congiuntamente dalle due Chiese. Il Patriarca ha dichiarato che “i risultati di questo colloquio mi danno la possibilità di affermare che oggi le due Chiese possono collaborare attivamente”, e che esse dovranno “con piena responsabilità lavorare insieme”. Il Patriarca ha poi detto alla stampa di non vedere ostacoli a successivi incontri col Papa.

Chiaramente ora da queste attività comuni e possibili incontri futuri dipende lo sviluppo degli eventi. Senza dimenticare quanto dice spesso il Papa ed ha ripetuto al termine dell’incontro a Cuba, facendosi voce anche del Patriarca: “Concordiamo sul fatto che l’unità si costruisce camminando”. Nell’ambiente assolutamente laico dell’aeroporto di uno degli ultimi paesi comunisti, la Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca Kirill è stata firmata tra la bandiera di Cuba e una grande icona della Madonna Odighitria, ovvero “Colei che indica il cammino”. Il testo si conclude col riferimento all’inno alla Vergine cantato dagli ortodossi a conclusione di vespri solenni della Quaresima: “Sotto il riparo della tua misericordia, ci rifugiamo, Santa Madre di Dio”.

E allora, speriamo, preghiamo e camminiamo.