Delhi, raggiunto l’accordo tra governo e Jat: ma 10 milioni di persone sono ancora senza acqua

I rappresentanti statali hanno ceduto alle richieste della comunità Jat: essere declassati e inseriti nelle quote riservate di posti statali. I Jat sono una casta influente, che ha eletto almeno 10 chief minister in Haryana e controlla un terzo dell’attuale assemblea statale. Le proteste hanno fatto 20 morti e oltre 200 feriti; si calcola un danno di 2,5 miliardi di euro.


New Delhi (AsiaNews/Agenzie) – Nella tarda serata di ieri è stato raggiunto l’accordo tra il governo statale e rappresentanti federali dell’India e la comunità Jat, che aveva bloccato la fornitura idrica della capitale lasciando a secco una delle città più popolose al mondo. I manifestanti hanno sospeso il sabotaggio del canale Munak che scorre nello Stato di Haryana e rifornisce per tre quinti le riserve idriche di Delhi. Kapil Mishra, ministro dell’acqua di Delhi – città con oltre 18 milioni di abitanti –, ha però dichiarato che “l’emergenza non è del tutto risolta” e ha invitato la popolazione a non sprecare la risorsa, dal momento che alcune zone non sono ancora raggiungibili dalle forniture e 10 milioni di persone rischiano di rimanere senz’acqua per diverse ore.

Da circa 10 giorni i membri della comunità Jat hanno dato vita a violente proteste in alcuni di distretti dell’Haryana. Il bilancio degli scontri tra manifestanti ed esercito federale, schierato in massa per disperdere le persone accampate per le strade e nei dintorni del canale Munak, parla di 20 morti e almeno altri 200 feriti.

I Jat, comunità di agricoltori-guerrieri, hanno bloccato tutte le principali vie di collegamento. La crisi economica degli ultimi anni ha ridotto in modo drastico i guadagni degli agricoltori e ha portato ad un calo degli impieghi nel settore privato. Per questo i contadini hanno protestato, chiedendo di essere considerati tra le classi svantaggiate. Essi hanno costretto le autorità a cancellare circa 850 treni diretti verso la capitale, chiudere 500 negozi e le scuole delle aree interessate dalla protesta. Oggi gli istituti scolastici sono stati riaperti e l’acqua è tornata a scorrere in modo parziale dai rubinetti.

Le stime riportano un danno ingente: circa 2,8 miliardi di dollari (oltre 2,5 miliardi di euro) persi nei giorni delle violenze, oltre ai danneggiamenti del canale stesso, il cui bacino è strutturato per il continuo scorrimento dell’acqua.

La rigorosa legislazione indiana classifica i Jat tra le caste elevate. Essi sono proprietari terrieri e vengono considerati una comunità ricca e influente. Risiedono in maggior numero nell’Haryana, dove rappresentano il 27% degli abitanti, su un totale di oltre 25 milioni (in base al censimento del 2011). Tra i suoi membri sono stati eletti almeno 10 chief minister e la comunità domina oggi la composizione dell’assemblea statale con un terzo dei 90 seggi.

Da sempre inseriti nelle caste elevate, i Jat richiedono di essere “declassati” come “Other Backward Castes” (OBC), cioè “altre caste svantaggiate”, una sorta di via intermedia tra quelle elevate e le povere. Dall’inizio degli anni ’90, lo Stato riserva a queste caste “arretrate” diversi benefici per l’istruzione e per l’impiego, tra cui una quota del 27% nei posti della pubblica amministrazione.

I Jat hanno sospeso la protesta perché il governo ha accettato tutte le loro richieste: essere considerati tra le OBC e inseriti tra i beneficiari delle quote pubbliche. Alcuni esperti però hanno sollevato dei dubbi e temono che questa “azione di forza” possa solo avvantaggiare una classe già privilegiata, negando le risorse a coloro che davvero ne hanno bisogno.