Tripoli dedica viali e strade a quattro grandi vescovi maroniti del passato
di Fady Noun

La decisione è del consiglio municipale, che ha accolto la proposta di mons. Aboujaoudé. Per il prelato i cristiani sono “parte integrante del tessuto sociale”. Un segno della “cordialità” dei rapporti fra cristiani e musulmani nella capitale del nord del Libano. L’impegno per una rappresentatività cristiana alle prossime elezioni. 


Beirut (AsiaNews) - Quattro viali e strade di Tripoli porteranno il nome di altrettanti vescovi maroniti che hanno vissuto e hanno caratterizzato con la loro impronta la vita della capitale del nord del Libano. Lo ha deciso il Consiglio municipale della città, che ha accolto una richiesta dell’attuale vescovo maronita di Tripoli, mons. Georges Aboujaoudé.

I quattro vescovi che hanno ricevuto questa onorificenza sono: Antoine Abed, un ricordo che richiama all’austerità, il cui solo nome faceva tremare grandi e piccoli; Antoun Joubeir, un vero missionario che si è distinto per il lavoro nelle organizzazioni giovanili; Gebraël Toubia, servitore modello della cattedrale di San Michele; Fouad el-Hage, predecessore di mons. Aboujaoudé, che ha anche ricoperto la carica di presidente di Caritas Internationalis. 

Interpellato da L’Orient-Le Jour (Olj), mons. Aboujaoudé (nella foto) racconta di aver ringraziato come si deve - di sua spontanea iniziativa - il presidente della municipalità Amer Rafeï, e ricorda che i cristiani in generale, e i maroniti in particolare, “sono parte integrante del tessuto sociali di Tripoli” e che il loro numero, che è calato durante gli anni della guerra, “non impedisce loro di essere stati una delle componenti della città”. 

Della popolazione maronita di Tripoli non restano che circa 400 famiglie, precisa il vescovo, a dispetto di un numero tre volte maggiore di cristiani ortodossi. Queste famiglie sono distribuite nelle cinque parrocchie della diocesi: centro di Tripoli, Kobbé, Tebbaneh, Zahriyé e Mina. Tutte le parrocchie, assicura il prelato, sono molto attive e prosperano in un clima “di intesa cordiale” islamo-cristiana. Egli precisa inoltre che una delle sue più grandi conquiste è il dinamicissimo gruppo degli scout che conta fino a 160 giovani. 

La cattedrale di san Michele, a Zahriyé, è in fase di restauro, aggiunge il vescovo, così come un presbiterio di tre piani che sorge nelle vicinanze. In questo bisogna vedere “un segno di rinnovamento e di pacificazione della vita sociale, dopo la grande operazione dell’esercito che ha aperto una breccia nel conflitto di Tebbaneh-Jabal Mohsen [fra sunniti e alawiti] e riportato la calma in questi quartieri caldi”. 

Il vescovo si sta impegnando anche per assicurare una rappresentatività per le comunità cristiane di Tripoli, in vista delle prossime elezioni municipali. “Un maronita e due ortodossi - afferma - siedono in questo momento nel consiglio municipale, ma noi desideriamo rafforzare questa presenza”. 

Alto tasso di disoccupazione

Di contro, è fonte di rammarico l’alto tasso di disoccupazione fra i giovani, che spinge quanti sono in cerca di lavoro ad abbandonare la città. “Tripoli - spiega - è al collasso economico, sebbene si sia manifestata negli ultimi tempi una timida ripresa grazie al ritorno di alcune catene di fast-food”. 

Mons. Aboujaoudé ricorda con un pizzico di nostalgia e - in qualche modo - bramosia, i tempi felici in cui le industrie del legno (Ghandour), delle bevande analcoliche o del tessile (Arida) occupavano grandi capannoni brulicanti di macchine, oggi “lasciate in balia dei roditori”. 

Il vescovo si chiede anche perché le raffinerie di petrolio di Tripoli, che assicuravano un impiego a diverse centinaia di persone, hanno fermato la loro produzione. Si rallegra invece per le centinaia di nuovi posti di lavoro creati da un mulino della zona, che assume - senza discriminare - cristiani e musulmani. 

Infine mons. Aboujaoudé, che è in ottimi rapporti con il muftì di Tripoli, Sheikh Malek Chaar, si rallegra per la partecipazione del comune alla distribuzione dei regali di Natale; tuttavia, egli desidera però che i fondi concessi alle comunità cristiane siano allo stesso livello di quelle stanziate per le feste di al-Adha o di Eid al-Fitr.