Erdogan rafforza la svolta autoritaria: il movimento di Gulen “terrorista” come il Pkk curdo

di Pierre Balanian

Diritti umani, visti, migranti acuiscono la tensione fra Ankara e Bruxelles. E domani il Parlamento tedesco vota sul riconoscimento del genocidio armeno. Intanto Erdogan rafforza il potere interno e mette nel mirino i seguaci del leader in esilio Fethullah Gulen. Obiettivo il “regime presidenziale” con l’eliminazione di tutte le voci critiche. 


Istanbul (AsiaNews) - Continua l’escalation di tensione fra il governo turco e i vertici dell’Europa, con le autorità di Bruxelles sempre più irritate e imbarazzate di fronte alla deriva autoritaria del presidente Erdogan, con il quale devono scendere a patti sulla questione migranti. Da settimane è in atto un braccio di ferro sui visti per i viaggi dei turchi in Europa: Ankara vuole la libera circolazione dei suoi cittadini in Europa, ma finora non ha rispettato tutti i requisiti richiesti dall’accordo. E quindi l'Europarlamento non lo ratifica. 

Dal canto suo, Erdogan minaccia di stracciare l’accordo sui migranti, dando così il via libera all’ingresso dei rifugiati sulle coste della Grecia. Bruxelles sottolinea anche la crescente “personalizzazione” dello Stato turco per mano di Erdogan, che ha assunto sempre più poteri, monopolizzato il processo decisionale, violato i diritti umani, cancellato l’immunità parlamentare per silenziare le voci critiche. 

Domani si potrebbe inoltre aprire un nuovo fronte di scontro, con il voto del Parlamento tedesco sulla risoluzione che definirebbe “genocidio” il massacro degli armeni per mano turca nel 1915. Finora 20 Paesi, fra cui Russia e Francia, hanno riconosciuto il genocidio. La scelta del Bundestag potrebbe scavare così un nuovo - forse definitivo - solco fra Ankara e Berlino, fra Turchia ed Europa. 

Mentre l’Europa chiede alla Turchia di “rivedere” le proprie leggi in materia di anti-terrorismo prima di procedere all’eliminazione dei visti d’ingresso, Ankara continua a muoversi in direzione del tutto opposta. Quel che interessa il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è fare terra bruciata attorno a sé e rafforzare il proprio potere assoluto, usando contro gli oppositori non tanto i mezzi tradizionali utilizzati in ogni democrazia del mondo, quanto piuttosto le leggi anti-terrorismo. L’obiettivo è l’eliminazione dei rivali politici non nelle urne, bensì nelle aule dei tribunali. 

È una marcia costante ma inarrestabile quella del presidente Erdogan, fatta di piccoli passi successivi ma che conducono tutti allo stesso punto: modificare la Costituzione, diventare il primo presidente di un “regime presidenziale” da lui voluto, senza alcun contestatore di rilievo intorno.

Il primo passo è stato senz’altro quello di effettuare un rimpasto nella magistratura, spedendo “in esilio” attraverso il Consiglio Supremo della Magistratura turca magistrati di spicco e non manovrabili. Essi sono stati trasferiti in piccoli tribunali, in territori spesso sperduti, con competenza giuridica irrilevante per il Paese; molti di loro sono finiti in luoghi sperduti dell’Anatolia, sostituiti da giudici di “fiducia” in opposizione al miliardario in esilio Fethullah Gulen, che aveva finanziato i loro studi.

Visto che il tentativo di mascherarsi dietro un islam moderato - se tale può essere definito il Movimento dei Fratelli Musulmani - per accattivarsi i seguaci di Gulen ed i curdi contro i militari non ha dato gli esiti sperati, egli ha voltato loro le spalle e si è alleato con l’apparato militare. Una struttura sensibile al tema della lotta al “terrorismo” e alla “turchizzazione di tutti i cittadini” del Paese, comprendendo all’interno della “parola magica” terrorismo la chiave di tutte le porte rimaste sinora chiuse davanti al suo avanzamento.

Dopo aver riscosso ampio successo, anche sul piano internazionale, nel convincere tutti che la lotta del popolo curdo non è altro che terrorismo ed il Pkk un’organizzazione terrorista; e avendo ottenuto la sospensione dell’immunità parlamentare per i deputati “critici”, soprattutto di etnia curda, Erdogan si accinge ora a usare la stessa arma questa volta contro il movimento di Fethullah Gullen. Il miliardario, un tempo Pigmalione dello stesso Erdogan, vicino all’Fbi e alla Cia, ora vive in esilio a Filadelfia, negli Stati Uniti, ma mantiene tuttora un forte ascendente sulle comunità turche sparse nel mondo, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, oltre che all’interno della stessa Turchia in punti chiave.  

Il Consiglio di sicurezza nazionale turco (Mgk), riunitosi sotto la presidenza di Erdogan, ha deciso di qualificare il movimento Gülen come “terrorista alla stregua del Pkk”, come ha affermato lo stesso capo di Stato il quale ha aggiunto: “Abbiamo inviato questa richiesta al Consiglio dei Ministri”. In risposta Izzet Özgenç, professore di diritti turco e fra gli estensori del Codice Penale del 2004, ha scritto sul proprio profilo twitter che “l’esistenza di un gruppo terrorista non può essere stabilita dal Consiglio dei ministri”.

Hizmet, movimento civile di ispirazione religiosa che fa riferimento all’imam turco Fethullah Gulen, è diventato la bestia nera del potere da quando sono scoppiati i casi di corruzione nel 2003. I magistrati della cosiddetta “Mani pulite” turca avevano tutti, o quasi, portato a termine gli studi universitari grazie a borse di studio del benefattore Gulen. Da allora Erdogan è convinto che i simpatizzanti di Gulen nella magistratura e nelle forze dell’ordine tentino di rovesciarlo.

I grandi fallimenti sul ruolo assegnato e voluto dalla Turchia nello scacchiere internazionale, soprattutto in Siria, Libia, Iraq, Libano ed Egitto, fanno vacillare il consenso interno da cui trae forza Erdogan, impegnato da tempo a eliminare ogni forma di opposizione interna sui vari fronti politico, militare e giuridico. L’influenza turca sulla stampa internazionale, grazie a forti sostegni, è riuscita a far passare in sordina gli orrendi crimini perpetrati ogni giorno contro civili curdi in una guerra ignorata le cui immagini, spesso censurate, ricordano quanto avviene in Siria.

Erdogan si gioca il tutto per il tutto senza tralasciare nessuna vibrazione che possa toccare i cuori della popolazione; l’ultima, per citarne una, la carta della grandeur perduta dell’Impero Ottomano e il trionfo sull’Occidente, simboleggiato dalla presa della Basilica di Santa Sofia, festeggiata in pompa magna due giorni fa.

Finora sono 700 i civili, “normali” simpatizzanti di Gulen, arrestati nei quattro angoli del Paese e messi in stato di fermo in attesa di processo; tutte le strutture appartenenti a Hizmet sono state a più riprese oggetto di perquisizioni mentre i giornalisti vicini al movimento vittime di continue intimidazioni. I casi più eclatanti sono quelli del giornalista Can Dündar, redattore capo del quotidiano turco di opposizione Cumhuriyet (La repubblica) ed Erdem Gül, il capo redattore di Ankara della stessa testata: a processo per aver diffuso nel maggio 2015, un video che prova la consegna di armi da parte dei servizi segreti turchi ai jihadisti in Siria.

“La situazione attuale è peggiore di quella del 28 febbraio”, ha dichiarato l’attivista pro-diritti umani Mahmut Tanal, avvocato e deputato del Chp. Il riferimento è agli avvenimenti del 28 febbraio 1997, quando il Consiglio di sicurezza nazionale aveva costretto l’allora Primo Ministro islamista Necmettin Erbakan a chiudere le scuole religiose. All’epoca fra le vittime di queste misure “kemaliste”  figuravano sia Erdogan che Fethullah Gulen.

Si presume che assisteremo presto all’inserimento del nome del movimento Hizmet nel cosiddetto “Libro Rosso Segreto” o quel che viene definito “La Costituzione nascosta dello Stato” in Turchia. Si tratta del registro di sicurezza nazionale, creato nel 1972, per classificare le politiche segrete da adottare contro eventuali - veri o presunti - nemici fra i quali figurano già la Russia, l’Armenia, la Grecia, la Siria, l’Iran e altri… È la considerazione dei gruppi islamisti come prima minaccia contenuta nel registro, che ha spinto nel 1997 i militari a “fare pulizia”. Gli eventi in Turchia continuano a evolvere, finora a favore di Erdogan.