Esperti commentano lo yuan rivalutato (di poco)

La rivalutazione minima (+ 2%) salutata con favore ma stimata insufficiente. Si attendono gli effetti sull'economia interna, con il timore di minori esportazioni e perdita di posti di lavoro.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Cedendo a anni di pressioni internazionali, la Cina ha rivalutato ieri, 21 luglio, la propria moneta del 2,1% e l'ha svincolata dal dollaro Usa. Lo ha annunciato la Banca popolare della Cina in un comunicato ufficiale, precisando che adesso il tasso di cambio verrà determinato "da un sistema fondato sulla domanda e l'offerta del mercato con riferimento a un paniere di valute". Non è stato precisato quali valute faranno parte del paniere.

Il cambio sarà comunque tenuto – ha precisato la Banca – a un livello "ragionevole e bilanciato" come pure verrà mantenuta la stabilità dei mercati finanziari e dell'economia. Il cambio è stato portato a 8,11 yuan per dollaro, dopo che per circa 10 anni è rimasto fissato a 8,28 yuan per dollaro. Da circa 2 anni gli Stati Uniti, insieme a Unione Europea e Giappone, accusano Pechino di mantenere un cambio inferiore al valore reale della moneta, così da rendere più economico e competitivo l'export cinese. Il Congresso Usa ha minacciato di applicare un'imposta del 27,5% sulle merci cinesi se Pechino non muta il regime di cambio dello yuan e non lo rivaluta.

John Snow, Segretario del Tesoro Usa, ha commentato che la notizia  "pone la Cina sulla strada giusta", ma ha aggiunto che occorrono altri interventi prima che lo yuan "si allinei con le basilari condizioni di mercato". Alan Greenspan, presidente della Riserva federale Usa, ha definito la notizia "un buon primo passo". Tutti i commenti americani ritengono l'iniziativa giusta ma insufficiente per adeguare la valuta al valore di mercato e inadatta a risolvere i contrasti commerciali e diplomatici esistenti, se non seguita da maggiori interventi.

Yao Jingyuan, direttore economico dell'Ufficio nazionale di statistica cinese, ha detto che l'aggancio della valuta a un paniere di monete consentirà di mantenere la stabilità del sistema finanziario del Paese. "Aiuterà – ha spiegato - a perfezionare il meccanismo per determinare il tasso di cambio". Ha aggiunto che le conseguenze negative sulle esportazioni porteranno le ditte cinesi a diventare più competitive.

La misura viene collegata anche con l'esigenza di contenere la crescita del Prodotto interno lordo, che nel primo semestre 2005 è risultata del 9,5% rispetto a un anno prima, con rischio d'inflazione. Si prevede che le altre valute asiatiche adeguino in breve tempo il loro valore nonché una diminuzione dei prezzi delle merci importate pagate in dollari.

Secondo gli analisti, il governo cinese vuole vedere gli effetti della rivalutazione prima di adottare altre iniziative. Andy Xie, economista della Morgan Stanley, osserva che la rivalutazione "potrebbe avere un impatto significativo sulla proficuità delle esportazioni cinesi, che già hanno un basso margine di profitto." C'è il timore che la diminuzione delle esportazioni causi la chiusura di molte imprese, con perdita di posti di lavoro, a danno soprattutto della mano d'opera costituita da migranti delle zone contadine, costretti ad accettare salari di mera sussistenza.

Joseph Quinlan, direttore capo per la strategia per gli investimenti della Banca d'America, dubita, invece, che nel breve termine la modesta rivalutazione possa danneggiare l'export cinese. "Non quando – spiega – il compenso medio per il lavoro di un operaio, in Cina, è di 64 centesimi [di dollaro Usa] l'ora".

Il minor costo per l'acquisto di merci importate, invece, dovrebbe favorire settori – come quello dell'acciaio e quello immobiliare - che interessano soprattutto la fascia della popolazione con maggior reddito. Per cui la rivalutazione, se non sarà accompagnata da una più equa politica sociale e dei salari, potrebbe causare un aumento della forbice tra ricchi e poveri. La diminuzione delle esportazioni potrebbe anche causare minori investimenti stranieri - dopo che nel primo semestre 2005 se ne era già registrato la diminuzione - spesso finalizzati alla creazione di joint ventures locali tra ditte estere e cinesi per sfruttare mano d'opera a basso costo. (PB)