“Non cedete alla paura”: l’appello dei giovani iracheni alla Francia
di Vincenzo Faccioli Pintozzi

A Cracovia le delegazioni mediorientali sono numerosissime: si vedono bandiere del Libano, della Palestina, della Giordania e persino un vessillo iraniano. Gli iracheni vengono per la maggior parte da Baghdad e Erbil: hanno letto degli attentati a Rouen e Nizza “con dolore e partecipazione”. Ma la Giornata mondiale della Gioventù è “la cornice adatta per mandare un messaggio di speranza: non fatevi sopraffare dall’odio”. Anche nella capitale irachena oggi “gli attentati sono sempre più spesso opera di lupi solitari, emarginati e asociali che vogliono soltanto il caos”.


Cracovia (AsiaNews) – I francesi e gli altri popoli europei colpiti dal terrorismo “non devono cedere alla paura. Fatevelo dire da chi vive con il terrore ogni giorno: la vera arma contro queste stragi è il sorriso che nasce dalla speranza. D’altra parte Cristo è con noi ogni giorno, e questa è la vera garanzia per il mondo”. Lo dice ad AsiaNews Fatima Kassid, giovane irachena che da Baghdad è arrivata a Cracovia per la XXXI Giornata mondiale della Gioventù.

La partecipazione è ormai al massimo, e sembrano confermati i due milioni di giovani pellegrini nella capitale polacca. Il Papa sta per arrivare al Castello del Wawel per incontrare le autorità politiche, il presidente Duda e i vescovi locali. La zona intorno alla sede episcopale della città sembra zona militare: nella piazza della Mariacki (v. foto) stazionano autoblindo che – anche se presentano il simbolo della Croce Rossa – incutono molto timore. Tranne che ai gruppi mediorientali, che oramai li considerano una parte del panorama usuale.

La stessa Fatima fa notare che “lo spavento che vedo nei miei coetanei davanti agli autoblindo e ai carrarmati mi fa pensare a quanto siamo diversi. Per noi missili, muri crivellati da colpi di pistola, macerie sono uno spettacolo usuale. Qui fanno pensare a chissà quale catastrofe. Questo è bellissimo perché vuol dire che la guerra e l’odio non hanno ancora prevalso nel mondo, nonostante i terribili fatti di cronaca dei giorni scorsi”.

L’omicidio del parroco di Rouen ha provocato nella delegazione irachena un fortissimo senso di disagio: alcuni giovani francesi, alticci, li hanno accusati per strada di “coccolare i terroristi”. Fatima in risposta si è messa a piangere: “Noi li abbiamo in casa, è vero, ma di certo non li proteggiamo. E gli autori degli attentati in Europa non sono mediorientali folli in fuga dal proprio Paese per seminare terrore, ma figli dell’Europa. Le accuse di quei ragazzi mi hanno ferita, ma il mio amico Samir li ha fermati e ha parlato con loro spiegando chi siamo e da dove veniamo. Dopo siamo andati a bere una birra insieme”.

Durante questo scambio, Fatima ha invitato i ragazzi – provenienti da Lione – alla catechesi che si è svolta questa mattina in lingua araba in una chiesa poco fuori il centro di Cracovia. Alla fine della riflessione, hanno pranzato insieme: “Ho detto loro di non avere paura, perché la paura rafforza chi la provoca. Il sorriso, ecco la risposta dei giovani cristiani iracheni alle minacce dei fondamentalisti. Con il sorriso si smonta ogni integralismo. Anche se spesso questi attentati non sono figli di un’ideologia neanche in Iraq”.

Nel suo Paese, spiega, “sempre più spesso scopriamo che dietro le stragi suicide non ci sono fanatici dell’islam, ma disadattati e lupi solitari. Molti si fanno abbindolare dalle promesse, ma sempre più persone accettano di uccidere per denaro. Non c’è lavoro e non ci sono molte prospettive, per cui se ai soldi aggiungi qualche vaga promessa di Paradiso puoi trovare molte persone pronte al suicidio. Almeno sistemano la famiglia”.  

Facendo suo il “motto” di san Giovanni Paolo II – quel “non abbiate paura” che ha accompagnato tutto il pontificato di Wojtyla – Fatima conclude: “Se si riesce a tenere sempre al centro della visuale Gesù Cristo, diviene facile anche sorridere davanti al male. Cristo è con noi ogni giorno, e questa è la vera garanzia per il mondo. Io ho perso tanti amici ed alcuni parenti, fra la guerra e gli anni successivi, e ho odiato molto. Ora sono qui e cerco di non odiare più. La misericordia di papa Francesco per me non significa perdonare, ma proprio non odiare. È difficilissimo, ma ritengo che possa cambiare il mondo”.