Bangladesh, impiccato un altro leader del partito islamico Jamaat
di Sumon Corraya

Mir Quasem Ali era il principale finanziatore del movimento politico. Contro di lui il Tribunale per i crimini di guerra ha confermato 10 accuse su 14. Egli era tra i collaborazionisti che hanno appoggiato i soldati pakistani nel conflitto per la liberazione del Bangladesh.


Dhaka (AsiaNews) – Le autorità del Bangladesh hanno eseguito la condanna a morte per impiccagione di un altro leader del partito islamico Jamaat-e-Islami, i cui membri già in passato sono stati presi di mira dal governo del premier Sheikh Hasina. Il condannato, Mir Quasem Ali, è stato riconosciuto colpevole di crimini di guerra contro la popolazione durante la guerra per la liberazione dal Pakistan nel 1971.

La sentenza è stata eseguita nella tarda serata di sabato 3 settembre. In precedenza Quasem, 64 anni, un magnate molto famoso in patria e il principale finanziatore del suo partito, ha potuto incontrare per l’ultima volta i familiari nel carcere centrale Kashimpur a Gazipur, vicino Dhaka. Dopo l’impiccagione, il suo feretro è stato trasportato nel villaggio natale di Manikganj, dove è stato sepolto nella tomba di famiglia.

Il leader islamico è stato dichiarato colpevole di 10 capi d’accusa, su un totale di 14. In particolare, è stato condannato a morte per aver torturato e poi ucciso un adolescente che combatteva per la liberazione del Bangladesh e per aver ucciso altre sette persone rapite a Chittagong.

Egli era tra gli esponenti di spicco della milizia pro-Pakistan al-Badr, che si è macchiata di crimini di guerra collaborando con l’esercito pakistano durante il conflitto che portò all’indipendenza del Paese. Secondo fonti governative, nel 1971 i soldati pakistani, aiutati dai collaborazionisti, hanno ucciso tre milioni di persone e stuprato circa 200mila donne.

Nel 2014 il Tribunale criminale internazionale, un organo giudiziario speciale creato dall’attuale premier Hasina per punire i criminali di guerra, lo ha condannato a morte. Nonostante Quasem avesse investito milioni di dollari in spot pubblicitari e finanziamenti a scuole, ospedali e media per evitare la condanna, la settimana scorsa la Corte suprema ha confermato la sentenza di morte, contro la quale egli non ha presentato appello.

Il leader islamico è il quinto esponente di primo piano del Jamaat-e-Islami condannato a morte dal 2010, da quando Hasina ha preso il potere. Prima di lui, l’uccisione che ha destato più clamore è stata quella del capo del partito, Motiur Rahman Nizami, alle cui esequie hanno partecipato migliaia di persone.