Libano, leader religiosi cristiani e musulmani in campo per l’elezione del presidente

Il patriarca maronita contro la proposta di un “pacchetto di accordo” legato all’elezione del capo di Stato. Per il porporato è una soluzione senza “dignità”. Il gran muftì sunnita chiede di sostenere l’azione diplomatica di Saad Hariri. E lancia un monito contro le proteste: “acuiscono la frammentazione”. Dopo due anni e mezzo di vuoto di potere la scelta di un nome appare ancora lontana. 

 


Beirut (AsiaNews/Agenzie) - Leader religiosi cristiani e musulmani libanesi lanciano nuovi appelli alla classe politica e dirigente del Paese perché compia gli sforzi necessari per l’elezione del presidente, carica vacante da quasi due anni e mezzo. Nel sermone domenicale il patriarca maronita card Beshara Rai ha criticato con forza la proposta di un cosiddetto “pacchetto di accordo”, che preceda l’elezione del capo di Stato. Per il porporato il candidato che accetta questa soluzione non ha alcuna “dignità”. 

Il riferimento è alla proposta lanciata nei giorni scorsi dal presidente del Parlamento Nabih Berri, che prevede un “accordo complessivo” attorno all’elezione del presidente che comprende la legge elettorale e un governo di unità nazionale.

Secondo le ultime indiscrezioni, Berri è disponibile anche a sottoscrivere un accordo azzoppato, che prevede: legge elettorale, ministro delle Finanze, creazione del ministero del Petrolio e una nuova candidatura per l’Energia. 

Intanto sulla vicenda interviene anche il gran muftì Abdul Latif Daryan, massima autorità sunnita del Paese, il quale invita a sostenere gli sforzi messi in campo nelle ultime settimane dall’ex premier Saad Hariri per sbloccare l’impasse presidenziale.

Da qualche giorno circolano voci secondo cui il leader del Movimento il Futuro è pronto a sostenere il fondatore del Movimento patriottico libero Michel Aoun per la presidenza. Una svolta emersa durante una serie di consultazioni con leader stranieri e politici libanesi effettuate di recente dall’ex Primo Ministro, fra cui lo stesso Aoun.

Nel sermone pronunciato in occasione del capodanno islamico (Hijri), il gran muftì si è scagliato contro la minaccia di proteste di piazza lanciata dai vertici del Movimento patriottico libero (Fpm). 

Il leader sunnita libanese si è schierato in modo aperto contro questa e altre iniziative “che possano acuire la frammentazione della struttura libanese”, come l’ostruzionismo verso l’opera del governo e la “sospensione del dialogo nazionale” [il riferimento è sempre al Fpm]. 

Dal maggio 2014, quando è scaduto il mandato di Michel Suleiman, il Paese dei cedri è senza presidente; in questi mesi il Free Patriotic Movement, Hezbollah e loro alleati hanno a più riprese boicottato il voto per il rinnovo della carica, facendo mancare il quorum.

Dietro la mancata elezione lo scontro aperto fra i due fronti rivali: l’8 Marzo (gli sciiti di Hezbollah, vicini all’Iran) e il blocco del 14 marzo (guidato da Saad Hariri e sostenuto dall’Arabia Saudita). 

I due principali schieramenti del Paese sono divisi fra il sostegno a Suleiman Franjieh e a Michel Aoun. Finora non si è riusciti a raggiungere un accordo per sbloccare la situazione.