Il papa accolto nella sinagoga di Colonia: tu sei "costruttore di ponti con l'ebraismo"

Elogio del presidente della comunità ebraica di Colonia alle aperture di Benedetto XVI. Il papa rinnova la condanna dell'antisemitismo e chiede la collaborazione per difendere la sacralità della vita, la giustizia, la pace nel mondo, basandosi sul Decalogo.


Colonia (AsiaNews) - Ieri Benedetto XVI è succeduto a Giovanni Paolo II nell'essere guida e padre dei giovani; oggi gli succede nel rapporto intenso e affettuoso con l'ebraismo e nella difesa della dignità dell'uomo.

Papa Ratzinger è il secondo papa del mondo moderno ad entrare in una sinagoga ebraica. Benedetto XVIsegue passo passo l'eredità lasciatagli da Giovanni Paolo II, quando visitò la sinagoga di Roma il il 13 aprile 1986.

La visita del papa Benedetto ha un significato profondo: un pontefice tedesco entra in un edificio che è stato quasi completamente distrutto dal regime nazista durante il pogrom della Notte dei Cristalli, nel novembre 1938. L'edificio è stato ricostruito durante gli anni '50, anche con l'aiuto dei cattolici ed è stato rinnovato per la celebrazione di 60 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale.

Al suo arrivo il papa viene accolto dal rabbino Netanel Teitelbaum e dai tre presidenti della comunità ebraica. In loro compagnia Benedetto XVI visita la Sala della Memoria, al primo piano, che ricorda i milioni di vittime e in particolare i martiri della comunità di Colonia. Il pontefice ascolta una preghiera cantata in ebraico,  e sosta alcuni momenti in silenzio. Infine, tutti ritornano nella sala della sinagoga. Mentre il cantore canta alcuni salmi, il papa rimane attentissimo.

Uno dei responsabili, Abraham Lehrer, fa la storia della comunità ebraica a Colonia, la più antica della Germania e poi elogia papa Benedetto, che nel suo primo viaggio all'estero ha visitato una sinagoga. Lo chiama "pontefice", cioè "costruttore di ponti", costruttore del rapporto con l'ebraismo, modello per tutti i cristiani e per tutta la Chiesa. Lehrer ricorda anche la nazionalità tedesca del papa e ricordando i passi compiuti dalla Chiesa cattolica dalla costituzione conciliare Nostra Aetate in poi, parla di vero e proprio "inversione della storia".

Nel suo discorso Benedetto XVI riafferma la sua volontà di "continuare il cammino verso il miglioramento dei rapporti e dell'amicizia con il popolo ebraico", lanciato da Giovanni Paolo II; ricorda l'orrore dell'Olocausto, prodotto da "una folle ideologia razzista, di matrice neopagana" e sottolinea le "radici comuni" di cristianesimo ed ebraismo, tanto che "Chi incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo". Egli ha poi esposto il grandi insegnamento della Nostra Aetate e riafferma la condanna dell'antisemitismo. Tutte le polemiche sollevate nelle scorse settimane sul "silenzio" di Benedetto XVI a proposito degli attacchi terroristi contro Israele sembrano sciogliersi come neve al sole.

Il papa riafferma la necessità di educare le giovani generazioni, che non sono stati testimoni dell'Olocausto, alla "tolleranza, il rispetto, l'amicizia e la pace tra tutti i popoli, le culture e le religioni". E infine chiede alle comunità ebraiche una collaborazione, "una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo". Benedetto XVI parla di "dialogo sincero e fiducioso tra ebrei e cristiani", di amicizia che non passa "sotto silenzio le differenze esistenti". Ma lo slancio è sulla collaborazione. Per questo egli suggerisce di fondare sul Decalogo, donato agli ebrei come ai cristiani,  la convivenza sociale. "Ai giovani – egli dice - gli adulti hanno la responsabilità di passare la fiaccola della speranza che da Dio è stata data agli ebrei come ai cristiani, perché "mai più" le forze del male arrivino al dominio e le generazioni future, con l'aiuto di Dio, possano costruire un mondo più giusto e pacifico in cui tutti gli uomini abbiano uguale diritto di cittadinanza".

 

Pubblichiamo qui il discorso integrale tenuto da Benedetto XVI:

 

Gentili signore, illustri signori,

cari fratelli e sorelle!

Schalom lêchém! Era mio profondo desiderio, in occasione della mia prima visita in Germania dopo l'elezione a successore dell'apostolo Pietro, di incontrare la comunità ebraica di Colonia e i rappresentanti del giudaismo tedesco. Con questa visita vorrei riallacciarmi all'evento del 17 novembre 1980, quando il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio in Germania, incontrò a Magonza il Comitato Centrale Ebraico in Germania e la Conferenza Rabbinica. Voglio confermare anche in questa circostanza che intendo continuare il cammino verso il miglioramento dei rapporti e dell'amicizia con il popolo ebraico, in cui Papa Giovanni Paolo II ha fatto passi decisivi (cfr Discorso alla Delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations del 9 giugno 2005: L'Oss. Rom. 10 giugno 2005, p. 5).

La comunità ebraica di Colonia può sentirsi veramente "a casa" in questa città. È questa, infatti, la sede più antica di una comunità ebraica sul territorio tedesco: risale alla Colonia dell'epoca romana. La storia dei rapporti tra comunità ebraica e comunità cristiana è complessa e spesso dolorosa. Ci sono stati periodi di buona convivenza, ma c'è stata anche la cacciata degli ebrei da Colonia nell'anno 1424. Nel XX secolo, poi, nel tempo più buio della storia tedesca ed europea, una folle ideologia razzista, di matrice neopagana, fu all'origine del tentativo, progettato e sistematicamente messo in atto dal regime, di sterminare l'ebraismo europeo: si ebbe allora quella che è passata alla storia come la Shoà. Le vittime di questo crimine inaudito, e fino a quel momento anche inimmaginabile, ammontano nella sola Colonia a 7.000 conosciute per nome; in realtà, sono state sicuramente molte di più. Non si riconosceva più la santità di Dio, e per questo si calpestava anche la sacralità della vita umana.

Quest'anno si celebra il 60o anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti, nei quali milioni di ebrei – uomini, donne e bambini – sono stati fatti morire nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori. Faccio mie le parole scritte dal mio venerato Predecessore in occasione del 60o anniversario della liberazione di Auschwitz e dico anch'io: "Chino il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione del mysterium iniquitatis". Gli avvenimenti terribili di allora devono "incessantemente destare le coscienze, eliminare conflitti, esortare alla pace" (Messaggio per la liberazione di Auschwitz: 15 gennaio 2005). Dobbiamo ricordarci insieme di Dio e del suo sapiente progetto sul mondo da Lui creato: Egli, ammonisce il Libro della Sapienza, è "amante della vita" (11,26).

Ricorre quest'anno anche il 40° anniversario della promulgazione della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha aperto nuove prospettive nei rapporti ebreo-cristiani all'insegna del dialogo e della solidarietà. Questa Dichiarazione, nel quarto capitolo, ricorda le nostre radici comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono. Sia gli ebrei che i cristiani riconoscono in Abramo il loro padre nella fede (cfr Gal 3,7; Rm 4,11s), e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosè e dei profeti. La spiritualità degli ebrei come quella dei cristiani si nutre dei Salmi. Con l'apostolo Paolo, i cristiani sono convinti che "i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,29; cfr 9,6.11; 11,1s). In considerazione della radice ebraica del cristianesimo (cfr Rm 11,16–24), il mio venerato Predecessore, confermando un giudizio dei Vescovi tedeschi, affermò: "Chi incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo" (Insegnamenti, vol. III/2, 1980, p. 1272).

La Dichiarazione conciliare Nostra aetate, pertanto, "deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque" (n. 4). Dio ci ha creati tutti "a sua immagine" (cfr Gn 1,27), onorandoci con questo di una dignità trascendente. Davanti a Dio tutti gli uomini hanno la stessa dignità, a qualunque popolo, cultura o religione appartengano. Per questa ragione la Dichiarazione Nostra aetate parla con grande stima anche dei musulmani (cfr n. 3) e degli appartenenti alle altre religioni (cfr n. 2). Sulla base della dignità umana comune a tutti, la Chiesa cattolica "esecra come contraria alla volontà di Cristo qualsiasi discriminazione tra gli uomini o persecuzione perpetrata per motivi di razza o di colore, di condizione sociale o di religione" (Ibid., n. 5). La Chiesa è consapevole del suo dovere di trasmettere, nella catechesi come in ogni aspetto della sua vita, questa dottrina alle nuove generazioni che non sono state testimoni degli avvenimenti terribili accaduti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. E' un compito di speciale importanza in quanto oggi purtroppo emergono nuovamente segni di antisemitismo e si manifestano varie forme di ostilità generalizzata verso gli stranieri. Come non vedere in ciò un motivo di preoccupazione e di vigilanza? La Chiesa cattolica si impegna - lo riaffermo anche in questa circostanza - per la tolleranza, il rispetto, l'amicizia e la pace tra tutti i popoli, le culture e le religioni.

Nei quarant'anni trascorsi dalla Dichiarazione conciliare Nostra aetate, in Germania e a livello internazionale è stato fatto molto per il miglioramento e l'approfondimento dei rapporti tra ebrei e cristiani. Accanto alle relazioni ufficiali, grazie soprattutto alla collaborazione tra gli specialisti in scienze bibliche, sono nate molte amicizie. Ricordo, a questo proposito, le varie dichiarazioni della Conferenza Episcopale Tedesca e l'attività benefica della "Società per la collaborazione cristiano-ebraica di Colonia", che ha contribuito a far sì che la comunità ebraica, a partire dall'anno 1945, potesse di nuovo sentirsi "a casa" qui a Colonia e instaurasse una buona convivenza con le comunità cristiane. Resta però ancora molto da fare. Dobbiamo conoscerci a vicenda molto di più e molto meglio. Perciò incoraggio un dialogo sincero e fiducioso tra ebrei e cristiani: solo così sarà possibile giungere ad un'interpretazione condivisa di questioni storiche ancora discusse e, soprattutto, fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Questo dialogo, se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle: anche nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci a vicenda.

Infine, il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato, ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani. Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo. Il Decalogo (cfr Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune. I dieci comandamenti non sono un peso, ma l'indicazione del cammino verso una vita riuscita. Lo sono, in particolare, per i giovani che incontro in questi giorni e che mi stanno tanto a cuore. Il mio augurio è che essi sappiano riconoscere nel Decalogo la lampada per i loro passi, la luce per il loro cammino (cfr Sal 119,105). Ai giovani gli adulti hanno la responsabilità di passare la fiaccola della speranza che da Dio è stata data agli ebrei come ai cristiani, perché "mai più" le forze del male arrivino al dominio e le generazioni future, con l'aiuto di Dio, possano costruire un mondo più giusto e pacifico in cui tutti gli uomini abbiano uguale diritto di cittadinanza.

Concludo con le parole del Salmo 29, che sono un augurio ed anche una preghiera: "Il Signore darà forza al suo popolo, il Signore benedirà il suo popolo con la pace".

Voglia Egli esaudirci!