India, i vescovi approvano un piano d’azione per i dalit

La discriminazione di casta è tutt’ora evidente, anche nella Chiesa. Una politica nazionale per riconoscere ai dalit il loro valore umano intrinseco. Su 19 milioni di cattolici in India, 12 sono dalit. Lo Stato non riconosce diritti e titolarità di sussidi e aiuti specifici.


New Delhi (AsiaNews) – Oggi la Conferenza episcopale indiana (Cbci) ha approvato un piano di politiche per migliorare le condizioni dei dalit all’interno della Chiesa cattolica in India. Si tratta di un lungo documento, frutto del lavoro a livello diocesano e locale di numerosi sacerdoti, laici, uomini e donne “di buona volontà” che hanno l’obiettivo comune di scardinare in via definitiva la tradizionale discriminazione di casta contro i dalit (intoccabili) in vigore da secoli. Il tema tocca in profondità la Chiesa locale, composta in maggioranza proprio da dalit: su un totale di 19 milioni, circa 12 milioni di cattolici sono “intoccabili”.

Il punto di partenza, scrivono i vescovi, “è affermare che la parola ‘Dalit’ non indica una connotazione negativa o una identità di casta. Piuttosto dobbiamo ripristinare una identità affermativa, umanizzante e dotata di potere, che pone una domanda alla nostra fede”. Il motivo, continuano, è che “i cristiani dalit mantengono viva la visione del Regno di Dio di giustizia e amore. Essi con coraggio invitano la Chiesa a porre giustizia e amore – valori fondamentali della Bibbia – al centro della sua missione”.

L’evento storico si è svolto al Cbci Centre di New Delhi, alla presenza del card. Baselios Cleemis, presidente della Cbci, e di Arun Jaitley, ministro delle Finanze. Introducendo il documento, il card. Cleemis sottolinea: “L’India è la culla di molte civiltà e religioni. Grandi saggi hanno immaginato una comune famiglia umana e riconosciuto il raggio del Divino in ogni essere umano. Sfortunatamente nella società indiana ci sono ancora delle macchie, come il sistema delle caste e degli intoccabili”.

In un contesto di “trasformazione statale e di giustizia di transizione”, i vescovi ritengono sia un “imperativo etico concepire un piano d’azione ispirato ad una visione di costruzione del regno di Dio”. L’urgenza deriva dalle attuali molteplici forme di discriminazione che i dalit soffrono in India, e in particolare i dalit cristiani. Mons. Anthonisamy Neethinathan, presidente dell’Ufficio per le caste e le classi svantaggiate della Cbci, spiega che mentre quelli indù, sikh e buddisti godono di agevolazioni e politiche mirate, i dalit cristiani “vengono privati dei mezzi di sostentamento, come vantaggi economici, opportunità di lavoro, rappresentazione politica e protezione legale, in base a quanto stabilito dal Prevention of Atrocities Act del 1989”. Questo deriva da un Ordine presidenziale del 1950, che stabilisce che chiunque “professa una religione diversa da induismo, sikhismo e buddismo non può essere ritenuto membro delle Scheduled Caste” [gruppi svantaggiati che ricevono aiuti e sussidi].

Nonostante la Costituzione indiana vieti il sistema delle caste, è ancora diffuso un sentimento di supremazia legato all’origine sociale. Ne è sintomo l’elevato numero di violenze, stupri, omicidi nei confronti dei dalit: ogni 18 minuti viene commesso un crimine contro di loro; ogni giorno tre donne vengono violentate, 11 persone picchiate, due case bruciate. Il 37% dei dalit vive al di sotto della soglia di povertà; il 54% dei bambini è malnutrito; 83 neonati su 1000 muoiono nel primo anno di età. Per quanto riguarda l’ambito educativo, il 45% dei dalit è analfabeta. Non solo, nel caso in cui essi riescano a farsi ammettere nelle scuole pubbliche – cosa assai difficile – il tasso di suicidio tra gli studenti è altissimo.

I dalit cristiani vivono le stesse discriminazioni. Cosa ben peggiore, ammettono i vescovi, la discriminazione avviene anche all’interno della Chiesa, soprattutto a livello di rappresentanza nella leadership religiosa e laica. “Esiste una diffusa accettazione della pratica dell’intoccabilità”, scrivono, che risale al primo arrivo dei missionari gesuiti, che consideravano il sistema delle caste “tollerabile nello sforzo di evangelizzazione”.

Per questo esprimono la “necessità di affrontare con urgenza la questione”. Prima di tutto, devono avvenire cambiamenti nel campo dell’educazione, dell’accesso alle risorse economiche e ai posti di lavoro. Ciò può essere effettuato attraverso Caritas India, che può promuovere e finanziare opere e progetti. Non solo, si deve puntare sull’accoglienza e sul sostegno alle vocazioni dei dalit, sempre in aumento, e su una loro piena partecipazione nelle più alte sfere dirigenziali ecclesiastiche.

Tutto ciò deve avvenire entro un anno, termine che i vescovi pongono ad ogni diocesi nel presentare lo stato dei lavori e applicare il dcumento. Nella loro opera, suggeriscono, sacerdoti e cattolici locali possono avvalersi del contributo di persone e associazioni “di buona volontà”, riconoscendo il valore dell’eredità culturale dei dalit tramite un processo di inculturazione (anche nelle cerimonie liturgiche). Lo scopo finale, sottolineano, è avviare un “processo di metanoia (pentimento) e trasformare in modo radicale le nostre menti e i nostri cuori a livello individuale, collettivo e strutturale”.