Francesco in Egitto per rafforzare la “sana laicità” di Benedetto XVI contro l’estremismo
di Fady Noun

La conferenza di al-Azhar ha rinnovato le fondamenta dei rapporti tradizionali fra mondo materiale e spirituale nell’islam. Leader musulmano: Basi più chiare nel dialogo con i cristiani. L’insegnamento del papa emerito nel rapporto fra religione e politica e la differenza fra cristianesimo e Occidente.

 


Beirut (AsiaNews) - La dichiarazione finale emersa dalla conferenza del 28 febbraio-1 marzo ad al-Azhar è importante in quanto essa “rinnova” le fondamenta dei “rapporti tradizionali fra il mondo materiale e spirituale” nell’islam. Questo è quanto ha affermato l’emiro Harès Chéhab nel suo intervento alla conferenza, che ha riunito per due giorni diverse centinaia di esperti, religiosi e laici, cristiani e musulmani, di tutto il mondo.

La conferenza ha poi messo al bando in via definitiva dal vocabolario dell’islam politico la parola “minoranza”, così come l’esercizio di una discriminazione violenta nei confronti dei non credenti in nome dell’islam. Essa ha inoltre stabilito l’uguaglianza di tutti, musulmani e non musulmani, davanti alla legge dello “Stato nazionale costituzionale”.

“Fra gli elementi fondamentali - afferma il segretario del Comitato nazionale per il dialogo islamo-cristiano, vicino al patriarcato maronita - vi è ormai un dato di fatto assodato: c’è un prima e un dopo il congresso di al-Azhar sulla ‘Libertà e cittadinanza, differenze e integrazione’ che si è tenuto al Cairo. Questo congresso ha gettato le basi di un rinnovamento del dialogo fra l’islam e il cristianesimo, su basi più reali e chiare, in cui vengono garantite le istanze religiose”. “In precedenza - precisa - questi rapporti erano edificati su elementi di convergenza fra le due religioni, lasciando da parte le divisioni, per mantenere un clima positivo che avrebbe dovuto caratterizzare il dialogo. In questo modo, è aumentato il divario fra le parole e il vissuto di questi rapporti, e ci si è affidati troppo spesso a dichiarazioni tattiche, piuttosto che guardare al dialogo strategico nel lungo periodo”.

“Dopo al-Azhar, sotto l’effetto congiunto dei dialoghi già avviati in passato, e mossi da una attualità incendiaria che mina l’immagine stessa dell’islam e il concetto di Stato che si è venuto a creare nel mondo arabo, il dialogo ha assunto una qualità fondante che mancava in passato” sottolinea Chéhab. Il rapporto fra spirituale e materiale si rivela essere una vera e propria sfida di civiltà. Sotto questo profilo, le prese di posizione di al-Azhar ricordano le idee-chiave sviluppate da papa Benedetto XVI nell’esortazione apostolica: “Chiesa in Medio oriente, comunione e testimonianza” (2011), scritta sulla scia del Sinodo dedicato al Medio oriente.

Benedetto XVI si sforza di stabilire fra il temporale e lo spirituale il rapporto di “unità nella distinzione” che il cristianesimo stabilisce su un piano generale fra fede e ragione. Nella sua Esortazione, egli difende l’idea di una “sana laicità” (verso la quale tende l’islam, me che esita ancora oggi a chiamare in modo testuale), in opposizione a una diversa laicità “divenuta secolarismo”, “nella sua forma estrema, ideologica”. Ed è per questo che egli afferma: “La sana laicità […] significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senza affermare il reciproco rispetto tra politica e religione, evitando la tentazione costante della commistione o dell’opposizione. Il rapporto appropriato si fonda, innanzitutto, sulla natura dell’uomo – dunque su una sana antropologia – e sul pieno rispetto dei suoi diritti inalienabili. La presa di coscienza di questo rapporto appropriato permette di comprendere che esiste una sorta di unità-distinzione che deve caratterizzare il rapporto tra lo spirituale (religioso) e il temporale (politico), perché ambedue sono chiamati, pur nella necessaria distinzione, a cooperare armoniosamente al bene comune. Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose. Per questo la sana laicità (unità-distinzione) è necessaria, anzi indispensabile ad entrambe. La sfida costituita dalla relazione tra politica e religione può essere affrontata con pazienza e coraggio mediante una formazione umana e religiosa adeguata. Occorre richiamare continuamente il posto di Dio nella vita personale, familiare e civile, e il giusto posto dell’uomo nel disegno di Dio. E soprattutto, a tale scopo, occorre pregare di più” (29).

Papa Francesco potrebbe approfittare della sua visita al Cairo per sottolineare di nuovo queste convergenze fra il cristianesimo e l’islam, dando conforto e vigore all’idea secondo cui l’Occidente non deve essere identificato con il cristianesimo. E che lo stabilire un sano rapporto fra temporale e spirituale è a vantaggio di tutti.

Al riguardo, potremmo citare di nuovo l’Esortazione di Benedetto XVI quando afferma: “Il mondo intero fissa l’attenzione sul Medio oriente che ricerca la propria strada. Possa questa regione mostrare che vivere insieme non è un’utopia e che la diffidenza e il pregiudizio non sono una fatalità. Le religioni possono mettersi insieme per servire il bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla edificazione della società. […] Come il resto del mondo, il Medio oriente conosce due realtà opposte: la laicità, con le sue forme talvolta estreme, e il fondamentalismo violento che rivendica un’origine religiosa. È con grande sospetto che alcuni responsabili politici e religiosi medio-orientali, di tutte le comunità, considerano la laicità come atea o immorale. È vero che la laicità può talvolta affermare, in maniera riduttiva, che la religione riguarda esclusivamente la sfera privata, come se non fosse che un culto individuale e domestico, situato fuori dalla vita, dall’etica, dalla relazione con l’altro. Nella sua forma estrema e ideologica, questa laicità, diventata secolarismo, nega al cittadino l’espressione pubblica della sua religione e pretende che solo lo Stato possa legiferare sulla sua forma pubblica. Queste teorie sono antiche. Esse non sono più soltanto occidentali e non possono essere confuse con il cristianesimo” (28-29).