"Onore" e non odio religioso dietro l'attacco ai cristiani di Taybeh

In una lettera ad AsiaNews, il parroco del villaggio cristiano nella West Bank racconta il violento "pogrom" del 3 settembre per mano di musulmani; questi vendicavano la relazione illecita di una ragazza con un cristiano. Secondo p. Raed l'attacco ha moventi "culturali" e non di odio interreligioso.


Taybeh (AsiaNews) – Il violento "pogrom" del 3 settembre scorso contro il villaggio di Taybeh – l'unico nella West Bank completamente abitato da cristiani – non è il frutto di un conflitto tra religioni, ma "tra persone" e va legato a questioni culturali, di "onore". Lo pensa p. Raed Abusaliah, parroco cattolico di Taybeh. La violenza musulmana, che è stata generalmente collegata all'odio religioso, per p. Raed ha invece il movente nel quadro del forte rispetto di costumi e tradizioni sociali ed è scattata a causa della relazione illecita della vittima con un cristiano del villaggio.

In una lettera inviata ad AsiaNews, il sacerdote racconta come sono andati i fatti e fornisce un'analisi della situazione.

Il 31 agosto a Deir Jarir, il villaggio più vicino a Taybeh, viene rinvenuto il cadavere di Hiyam, una donna di 32 anni e incinta. Con ogni probabilità i suoi familiari l'hanno avvelenata, perché aspettava un figlio senza essere sposata.

La famiglia di Hiyam accusa un uomo di Taybeh, Mahadi Khourieh, di essere il padre del bambino. La giovane lavorava da 10 anni nella sartoria di Mahadi e i due si conoscevano bene. Il giorno dopo Mahadi viene arrestato nel corso delle indagini.

Il 2 e3 settembre, una delegazione di personalità da Taybeh – tra cui il sindaco del villaggio – si recano a Deir Jarir e chiedono, in vano, una "ispezione houdna" (un cessate-il-fuoco valido per la durata delle indagini). La mattina del 3 settembre, infatti, centinaia di uomini da Dir Jarir arrivano a Taybeh e danno fuoco alla casa di Mahadi e a quelle di altri membri della sua famiglia. In tutto 7 abitazioni vengono bruciate. Tutte le 14 famiglie che vi abitavano erano però già partite: in casi di "delitti di onore" questo genere di vendette contro i familiari del presunto colpevole sono sempre possibili.

Le forze di sicurezza palestinesi, provenienti da Ramallah, arrivano solo verso mezzanotte, a causa del difficile coordinamento con Israele. Taybeh si trova nella cosiddetta Area B, dove l'Autorità nazionale palestinese (Anp) esercita solo il controllo civile. Per questo la polizia di Ramallah per raggiungere il villaggio deve chiedere il permesso ad Israele - che esercita il controllo della sicurezza nella zona. All'arrivo della polizia la situazione si calma subito. Nell'attacco non si sono registrati morti o feriti gravi. "Questo particolare è molto importante – commenta p. Raed – perché se ci fosse stati morti la questione si sarebbe complicata senza possibilità di soluzione".

Il 4 settembre il governatore di Ramallah, Abu Firas, viene a Taybeh per affrontare la situazione. Insieme al sindaco del villaggio e al sacerdote ortodosso, Firas interroga Mahadi. L'uomo confessa di aver avuto una relazione con Hiyam, ma nega di essere il padre del bambino; a questo proposito è stata chiesta un'analisi del DNA.

Dopo la confessione un'altra delegazione da Taybeh si reca a Deir Jarir e chiede una "confessione houdna" (un cessate-il-fuoco dopo l'ammissione di un crimine), che questa volta viene accettata.

Mentre si aspetta la riconciliazione ufficiale tra i 2 villaggi, Taybeh e Deir Jarir hanno negoziato un cessate-il-fuoco con le seguenti condizioni: tutti gli abitanti di Taybeh possono venire o passare per Deir Jarir tranne i 2 fratelli di Mahadi Khourieh; l'incolumità di Mahadi Khourieh non è "garantita"; i 13 giovani arrestati subito dopo l'attacco saranno rilasciati senza pena.

"La reazione degli abitanti di Deir Jarir non è giustificabile - scrive il parroco – ma abbiamo accettato comunque le loro condizioni per evitare che la situazione peggiorasse".

Ora a Taybeh la situazione si è normalizzata. Secondo p. Raed l'"esemplare solidarietà" di personalità autorevoli e dei sindaci dei villaggi vicini - che hanno condannato l'attacco - ha permesso la veloce soluzione della crisi: "Questo tipo di conflitti nella zona durano anche mesi". Tra le autorità recatesi a Taybeh: il patriarca latino, mons. Michel Sabbah, il patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, l'ambasciatore greco in Israele e il console generale degli Usa a Gerusalemme.

Nella sua lettera p. Raed spiega che simili conflitti d'"onore" si verificano in tutto il Paese e che "a causa dell'importanza data a costumi e tradizioni nelle relazioni sociali in Palestina il problema è molto serio".  "È importante sottolineare - continua - che la reazione degli abitanti di Deir Jarir sarebbe stata probabilmente la stessa se l'uomo non fosse stato cristiano". Il sacerdote spiega che nei villaggi manca la polizia, che assicuri il rispetto della legge così per risolvere dispute personali ci si regola in base ad antiche leggi tribali.

La lettera si conclude con un la speranza che le indagini per sapere la verità sul caso continuino e che le autorità risarciscano le vittime dell'attacco.