Maratam, donna islamica condannata per blasfemia

Insegnava ai suoi seguaci che il Corano non obbliga i musulmani a pregare. La donna rifiutava anche gli hadith (parole, silenzi, fatti e inazioni attribuiti al profeta) come linea guida religiosa. La corte ha dichiarato la donna colpevole di aver violato l'articolo 156 del codice penale (Khp). Il procuratore aveva richiesto tre anni di carcere.


Jakarta (AsiaNews/Agenzie) – Un tribunale indonesiano ha condannato per blasfemia Siti Aisyah, proprietaria di un centro di apprendimento islamico (foto), a due anni e sei mesi di carcere per aver diffuso degli insegnamenti religiosi “fuorviati”.

La corte distrettuale di Mataram, nella provincia di West Nusa Tenggara (Ntb), ha pronunciato una sentenza più leggera di quanto richiesto dal procuratore: tre anni di reclusione.

Didiek Jatmiko, presidente del collegio giudicante, afferma che Siti è colpevole di aver diffuso insegnamenti che violano i principi islamici. Il giudice rivela inoltre che la religiosa ha respinto le accuse, ribadendo che ciò che insegna non si oppone ai dettami dell'Islam.

Siti, proprietaria di Rumah Mengenal Al-Quran (Casa per imparare il Corano), aveva riferito di aver insegnato ai suoi seguaci che il Corano non obbliga i musulmani a pregare. La donna aveva anche dichiarato di rifiutare gli hadith (parole, silenzi, fatti e inazioni attribuiti al profeta) come linea guida religiosa.

Nella dottrina islamica, questi sono aneddoti sulla vita di Maometto, su alcuni suoi discorsi o comportamenti. Appartenenti in origine alla tradizione orale, ne esistono milioni e lo loro collezione costituisce la Sunna, seconda fonte della Legge islamica (Sharia) dopo lo stesso Corano.

Molti studiosi dubitano dell’autenticità degli hadith.