Patriarca caldeo: dialogo e riconciliazione sul referendum in Kurdistan

Con l’approssimarsi del voto del 25 settembre aumenta lo scontro fra Erbil e Baghdad. Mar Sako si appella alle voci “moderate” per disinnescare le tensioni. Il rischio di un nuovo confronto militare dalle conseguenze “disastrose” e i timori per le minoranze. Fonti di AsiaNews: Per i cristiani “situazione ancor più delicata”. 

 


Baghdad (AsiaNews) - Una situazione “delicata” di fronte alla quale è necessario rilanciare l’invito “alla riconciliazione”, per raggiungere gli obiettivi di “armonia sociale” e di “pace civile” già minati negli ultimi anni dall’ascesa dello Stato islamico e delle violenze jihadiste. Con questo appello accorato, inviato per conoscenza ad AsiaNews, il patriarca caldeo cerca di allentare la crescente tensione in Iraq (oltre che in Medio oriente e nelle cancellerie occidentali) in vista del referendum per l’indipendenza del Kurdistan in programma a fine mese. È necessario, aggiunge il primate irakeno, “essere consapevoli della gravità” della situazione, prima che “sia troppo tardi”. 

Mar Louis Raphael Sako chiede che si alzino le voci “moderate” di quanti operano “per disinnescare la crisi”, perché una nuova guerra sarebbe insostenibile “sia per il governo centrale” che per “la stessa regione curda”. In un quadro di “tensione crescente” si affacciano all’orizzonte “nuove paure” per la popolazione e, in caso di escalation, non si può escludere “un confronto militare” dalle conseguenze “disastrose” per tutti, ma “in particolare per le minoranze”. 

Durante una visita ufficiale effettuata lo scorso 12 settembre a Kirkuk, regione contesa ricca di petrolio nel sottosuolo, il leader curdo Massoud Barzani ha difeso il referendum per l’indipendenza della regione in programma il prossimo 25 settembre. Il presidente ha sottolineato, una volta di più, che lo svolgimento della consultazione in città - assieme ai governatorati di Dohuk, Erbil e Sulaimaniya - è “del tutto legale”. 

In caso di vittoria dei “sì”, prosegue Barzani, Kirkuk “resterà protetta e sicura come è ora” grazie all’opera “dei Peshmerga” ( i combattenti curdi). Egli assicura che non verrà “compromessa” l’identità di Kirkuk, per la quale “siamo pronti a sacrificare i nostri diritti”. 

In precedenza il Parlamento irakeno, con una risoluzione non vincolante, ha respinto la validità del referendum, definendolo “incostituzionale” e una minaccia per l’unità del Paese, che è “garantita dalla Costituzione”. I deputati si rivolgono al governo centrale, al quale spetta la “responsabilità di proteggere l’unità dell’Iraq” prendendo “tutte le misure necessarie per preservarla”.

Una fonte di AsiaNews in Iraq, dietro anonimato, conferma che “si tratta di una questione molto delicata”; sulla vicenda il governo centrale non esita a diffondere minacce e pressioni e “non si può escludere il rischio di una nuova, catastrofica guerra”. E per i cristiani, aggiunge, “la situazione è ancora più delicata, perché qualunque posizione assumano scontentano una parte e vi è il rischio di ritorsioni. Serve molta prudenza”.

I curdi rappresenta il quarto gruppo etnico per importanza e diffusione in Medio oriente, ma non hanno mai ottenuto una nazione propria, stabile e indipendente. In Iraq costituiscono dal 15 al 20% del totale della popolazione su un totale di 37 milioni di abitanti e hanno subito una feroce repressione da parte dell’esercito irakeno ai tempi di Saddam Hussein fra gli anni 80 e 90 del secolo scorso.

Tutti i parlamentari irakeni di provenienza curda hanno boicottato il voto contro il referendum pronunciato dalla Camera il 12 settembre. Turchia e Iran, preoccupate da possibili derive separatiste anche all’interno dei loro confini, si oppongono con forza alla consultazione elettorale. La missione Onu in Iraq ha escluso ogni coinvolgimento nel voto.

“Non vogliamo innescare una guerra - ha concluso Barzani - ma abbiamo tutto il diritto di difenderci. E quanti lanceranno un conflitto, si dovranno attendere una risposta”. Secca la replica della leadership di Baghdad, che ha autorizzato il Primo Ministro Haider al-Abadi ha “prendere tutte le misure necessarie per preservare l’integrità territoriale” dell’Iraq, bloccando di fatto la (possibile) secessione del Kurdistan. 

Intanto secondo alcuni media turchi il leader curdo avrebbe raggiunto un accordo “segreto” con il governo israeliano, che prevede lo stanziamento di ebrei israeliani di origine curda nella futura regione indipendente. Si tratta di una comunità di circa 200mila persone, pronte a trasferirsi in massa all’indomani del voto (se positivo) di fine settembre. Fra i curdi irakeni sembra farsi spazio l’idea che il sostegno di Israele e della lobby ebraica americana al referendum possa spingere anche Washington a dare il via libera all’indipendenza curda. In realtà, dalle parti della Casa Bianca restano convinti che un simile passo finirà per sconvolgere i già precari equilibri della regione.(DS)