Delhi, fuori legge il ‘divorzio breve’ islamico

La norma approvata ieri dalla Lok Sabha, ora l’ultima parola spetta alla Camera alta. Previste pene fino a tre anni di reclusione. Mons. Theodore Mascarenhas: “Sosteniamo i diritti e la dignità delle donne”. Ogni comunità religiosa “responsabile dei propri affari religiosi”.


New Delhi (AsiaNews) – La Camera bassa del Parlamento indiano ha messo fuori legge il “divorzio breve” islamico (o “triplo talaq”). I parlamentari della Lok Sabha (o Camera del popolo) hanno anche stabilito che i mariti musulmani che dovessero infrangere la legge potranno essere puniti con la reclusione fino a tre anni. Ora l’ultima parola spetta alla Rajya Sabha (Consiglio degli Stati o Camera alta). La legge era attesa da numerose associazioni femminili islamiche, contrarie ad una pratica che lascia le mogli in balia dei propri mariti, che possono divorziare anche a distanza tramite il semplice invio di un sms. Ad AsiaNews mons. Theodore Mascarenhas, segretario generale della Conferenza episcopale indiana (Cbci), commenta: “La Chiesa cattolica sostiene e rispetta i diritti delle donne in tutto il mondo. Tutto ciò che lede la loro dignità e rispetto è da rifiutare”.

La votazione si è svolta ieri, non senza recriminazioni da parte delle opposizioni, che lamentano un colpo di mano da parte del governo di Narendra Modi. Il premier infatti non avrebbe lasciato spazio alle discussioni in aula, forzando l’approvazione della norma.

Mons. Mascarenhas sottolinea la questione del “metodo” per apportare dei cambiamenti all’interno di una comunità religiosa. “Ogni comunità deve essere capace di cambiarsi, trasformarsi e riformarsi da sé”. Secondo il vescovo, “nessuno è contro il cambiamento della legge, ma bisogna tenere conto delle posizioni delle comunità, discutere con loro”. Sulle modalità con cui si è espresso il voto, il segretario ribadisce che “le leggi vanno approvate da persone che conoscono il contesto. Quando si discutono leggi che riguardano gli affari religiosi di una comunità, si deve ricercare il più ampio consenso possibile”.

In India il “divorzio breve” islamico è una questione molto delicata. Su di essa si è espressa ad agosto anche la Corte suprema, che ha definito la pratica “incostituzionale”, rimandando la risoluzione al dibattito parlamentare. I giudici hanno accolto le richieste di una petizione firmata da 50mila donne musulmane, che da tempo lamentano forti discriminazioni. 

L’India è uno dei pochi Paesi al mondo in cui è ancora in vigore la legge islamica in tema di unioni. Più di 20 Paesi a maggioranza islamica – compresi Pakistan e il Bangladesh – hanno abolito la norma. Nel territorio dell’Unione vivono circa 170 milioni di musulmani, in gran parte sunniti, per i quali il diritto matrimoniale islamico è regolato dal Muslim Personal Law (Shariat) Application Act 1937, una legge approvata sotto il dominio coloniale britannico. Essa si applica in tema di matrimonio, divorzio, successione, eredità, proprietà personali delle donne. Approvata con l’intento di garantire il rispetto della tradizione culturale islamica, la legge consente di “giustificare” pratiche discriminatorie. Ai mariti è consentito divorziare dalle proprie mogli attraverso la semplice pronuncia della parola “talaq” (“ripudio”) ripetuta per tre volte anche in differenti occasioni. Le musulmane hanno denunciato un vero e proprio abuso del divorzio verbale, che spesso è attuato con l’invio di messaggi sul cellulare o per posta.

Sulla legge approvata ieri, mons. Mascarenhas sostiene: “Questo non deve aprire le porte per interferire con le comunità. Non deve essere un primo passo per interferire negli affari religiosi di una comunità”. Il vescovo dichiara in conclusione: “Accogliamo questo cambiamento se esso aiuterà prima di tutto le donne e poi la religione musulmana”.