In Israele ci sono 40mila profughi eritrei e sudanesi. Finora, sono stati riconosciuti solo 10 status di rifugiato. Vanno in Rwanda e in Uganda, anche lì senza riconoscimento. Il viaggio continua e molti muoiono o sono torturati nel tentativo di arrivare in Europa. “È una vita davvero difficile qui. Israele sta facendo di tutto per farli sentire indesiderati”.
Gerusalemme (AsiaNews) – “È uno scandalo che con 65 milioni di rifugiati al mondo, la più grande crisi dal secondo dopoguerra, Israele chieda ad altri Paesi di prendersi i rifugiati”. Commenta così Dror Sadot, portavoce dell’ong israeliana Hotline for Refugees and Migrants il recente annuncio dell’autorità israeliana per la migrazione: gli “infiltrati” dall’Eritrea e dal Sudan devono andarsene entro tre mesi o saranno incarcerati a tempo indefinito.
In Israele, ci sono circa 35mila cittadini eritrei e sudanesi e con essi 5mila bambini nati nel Paese. La maggior parte hanno visti temporanei che devono essere rinnovati ogni tre mesi, e il prossimo rinnovo potrebbe essere l’ultimo: sarà chiesto loro di lasciare Israele prima della scadenza. Oltre al rischio di prigione per chi non partisse, eventuali datori di lavoro incorreranno in una multa.
Israele dà 3.500 dollari a tutti i richiedenti asilo che accettano l’uscita “volontaria”; cifra che si ridurrà gradualmente a partire da aprile. Nel primo periodo verranno esclusi donne, bambini, persone con più di 60 anni e genitori di minori che vivono con loro, persone con problemi mentali e vittime di schiavismo o traffico umano. Anche i 6mila eritrei e sudanesi che hanno fatto domanda per lo status di rifugiato non saranno deportati fino alla risposta. La dichiarazione del primo dell’anno ha messo in chiaro che le domande inoltrate “dopo il 1 gennaio 2018 non ritarderanno la richiesta a un infiltrato di lasciare per un Paese terzo”. La scorsa settimana la Hotline ha inviato una petizione alla Corte suprema perché non siano deportati quanti hanno tentato di richiedere asilo senza successo, procedura divenuta nell’ultimo periodo molto difficile a causa di lunghe file e dell’accettazione delle richieste di poche persone.
Anche qualora fossero riusciti a inoltre la domanda di asilo, sono poche le speranze che questa sia accettata. Finora, riferisce Sadot, sono state accettate le richieste di “dieci persone, otto eritrei e due sudanesi. Solo dieci, come il numero delle dita”. “Israele non riconosce loro alcuno status, ma non possono essere rimandati ai loro Paesi d’origine. La maggioranza proviene dall’Eritrea e dal Darfur, in Sudan. Per questo sono un gruppo protetto”, commenta Sdot. “Israele non li vuole qui, e sta facendo molti sforzi per cacciarli via senza deportarli nel Paese d’origine”.
“Negli ultimi due anni i richiedenti asilo potevano chiedere di andarsene, firmando un’uscita volontaria. Israele gli dava 3.500 dollari. Ma dalle testimonianze che abbiamo raccolto abbiamo visto che anche se ci sono accordi [confidenziali] con questi Paesi, non gli viene riconosciuto alcuno status neanche lì”. A quanto scoperto dall’ong, i profughi non ottengono visto e permesso di lavoro nei cosiddetti Paesi terzi, cioè Rwanda e Uganda, e “continuano semplicemente a muoversi”.“Le testimonianze non le abbiamo raccolte qui, le abbiamo raccolte in Europa. Molti di loro muoiono fra Libia e Europa, altri sono torturati in Libia. Israele non fa alcun tipo di follow-up con le persone che manda in questi Paesi. Tutto quello che sappiamo, lo sappiamo dalle persone che siamo riuscite a contattare in Europa”. “È una vita davvero difficile qui. Israele sta facendo di tutto per farli sentire indesiderati”, continua la portavoce. “La comunità ora è nel panico. Ci sono file fuori dai nostri uffici perché le persone non capiscono cosa stia succedendo, se saranno deportati, se corrono rischi. Stiamo cercando di calmarli e aiutarli con il nostro lavoro legale per impedire queste deportazioni, ma sono tempi difficili”.
Nella società israeliana vi sono “molte differenze” nelle reazioni alla situazione dei richiedenti asilo. Da un lato numerose tensioni, perché i profughi si concentrano in alcuni quartieri, soprattutto a Tel Aviv. Dall’altro lato c’è una crescente attenzione, in particolare da parte degli studenti. “Sono rifugiati, e noi siamo stati rifugiati un tempo, Israele dovrebbe fare di meglio”, conclude Sadot. “Credo che la maggior parte dell’odio venga da parte del governo, e stanno ottenendo molto potere mettendo i residenti uno contro l’altro”.