In Kuwait si discute della ricostruzione dell’Iraq. Mar Sako: non promesse, servono progetti

Per sanare i danni provocati dai conflitti, anche contro l’Isis, serviranno 88 miliardi di dollari. Il segretario generale Onu invita i governi mondiali a sostenere la ripresa del Paese. Scetticismo del patriarcato caldeo: nessun riferimento alle minoranze; il denaro a pioggia rischia di alimentare corruzione e terrorismo. Istruzione e lavoro le basi per la rinascita. 

 


Baghdad (AsiaNews) - Per ricostruire l’Iraq, segnato da una serie di guerre sanguinose l’ultima delle quali contro il gruppo jihadista dello Stato islamico (SI, ex Isis), serviranno almeno 88 miliardi di dollari. Il denaro verrà utilizzato per riparare le infrastrutture danneggiate e costruirne di nuove, ripristinare case, scuole, edifici pubblici e favorire nuovi investimenti. È quanto è emerso nella Conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Iraq, che si è svolta dal 12 al 14 febbraio in Kuwait. Un appuntamento nel quale si è parlato molto di denaro e sono state fatte molte promesse, sottolinea ad AsiaNews il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, “ma che non darà grandi frutti perché non si sono visti progetti precisi” e attuabili nell’immediato futuro. 

Nel terzo e ultimo giorno di incontri, il padrone di casa emiro cheikh Sabah Al-Ahmad Al-Sabah ha annunciato lo stanziamento di due miliardi di dollari “ai fratelli irakeni”. All’evento ha partecipato anche il segretario generale Onu Antonio Guterres, che ha lanciato un appello volto a “sostenere gli sforzi” di ricostruzione dell’Iraq. “Il mondo intero - ha detto - è in debito con voi per la lotta contro Daesh [acronimo arabo per lo SI], una minaccia globale”. L’obiettivo iniziale della conferenza è garantire la rinascita economica e sociale dell’Iraq dopo due sanguinose guerre del Golfo, l’invasione statunitense e l’escalation del terrorismo fino all’ascesa dell’Isis.

Secondo le stime formulate dagli esperti, il totale dei danni causati dall’ultima guerra contro Daesh ammonta a 88,2 miliardi di dollari. Baghdad auspica che l’appuntamento internazionale in Kuwait possa fungere da vetrina per attirare gli investimenti internazionali e coprire almeno parte delle spese di ricostruzione. Gli aiuti dall’estero sono, ad oggi, una componente essenziale per sopperire ai bisogni della nazione, anche se spesso la loro gestione è fonte di polemiche e controverse. 

“L’Iraq non ha bisogno solo di denaro - sottolinea il patriarca caldeo - ma di vicinanza, sostegno, progetti reali già presentati. L’Iraq ha bisogno di una ‘magna charta’ per la democrazia, per la cittadinanza e la sicurezza. Il pericolo è che il denaro possa finire, come avvenuto in passato, nelle tasche di persone corrotte o che alimenti i gruppi jihadisti ancora presenti sul territorio”. Per mar Sako la lotta alla corruzione “resta la priorità”, insieme ai piani di rilancio “del settore dell’istruzione, che è la base sulla quale ricostruire un Paese unito, solidale, pacifico”. 

Inopportuna - avverte - anche la decisione di tenere la conferenza in questa fase che precede le elezioni politiche in Iraq, perché “non è il momento giusto” per fare un incontro “tre mesi prima delle elezioni”. Il pericolo è che possa essere una forma ulteriore di “propaganda”, senza alcun risultato per la popolazione civile. “Oltretutto - accusa il patriarca caldeo - nessuno dei partecipanti ha parlato delle minoranze, dei cristiani e degli yazidi, e questo è gravissimo. Ricostruire i villaggi e le cittadine della piana di Ninive, far ripartire le attività economiche è essenziale per garantire il futuro della regione e garantire quel mosaico unico rappresentato dall’Iraq”. 

Istruzione, cittadinanza, pari diritti e doveri, lavoro. “L’Iraq doveva chiedere aiuto - prosegue - per la ricostruzione delle fabbriche, che sono in grado di offrire lavoro a tanta gente”. “Sono queste - conclude Mar Sako  - le basi per la rinascita del Paese e non promesse di denaro a pioggia che non danno alcuna garanzia in un’ottica di ripresa”. 

Un rapporto diffuso in questi giorni sui danni causati dai conflitto, mostra che il settore più colpito è quello della casa, con danni che toccano quota 16 miliardi di dollari pari al 35% del totale. I settori dell’energia, del petrolio e del gas hanno subito danni per 11 miliardi di dollari; il settore dell’industria e del commercio 5 miliardi; l’agricoltura oltre due miliardi di dollari; infine, pesanti anche le perdite nel settore dell’istruzione (2,4 miliardi, oltre 150 attacchi contro scuole e istituti dal 2014, 700mila studenti che hanno perso un anno scolastico) e della sanità (2,3). 

Nel breve periodo servono almeno 22,9 miliardi di dollari per promuovere i progetti più urgenti e garantire la ripresa delle attività; nel medio e lungo periodo sarà necessario aggiungere altri 65,4 miliardi per poter portare a termine tutte le iniziative necessarie. Almeno sette governatorati nel nord e nell’est dell’Iraq hanno subito danni per 46 miliardi. Il comparto della sicurezza necessita di circa 14 miliardi per gli interventi più urgenti; altri 10 per il settore bancario, che ha perso gran parte della sua liquidità. 

Pesantissimo anche il bilancio del capitale umano: la guerra contro i jihadisti ha causato la morte di 18mila persone e il ferimento di altre 36mila. Tuttavia, secondo alcuni esperti il numero sarebbe di gran lunga superiore. Per la sola riconquista di Mosul, a lungo considerata la “capitale” del Califfato, vi sarebbero stati oltre 10mila vittime. Il 90% di case e attività dei villaggi e delle cittadine della piana di Ninive è stato distrutto.(DS)