Arcivescovo di Singapore: ‘Costruire una Chiesa vibrante, evangelica e missionaria’ (III)
di Paolo Fossati

“I fedeli bramano la Parola di Dio e sentono il bisogno di trovare un collegamento tra la fede e le loro vite”. “È necessario preparare gli studenti alla nuova evangelizzazione tra le molteplici culture e religioni del nostro continente”. La formazione dei laici “fondamentale per la missione”. Ogni anno vi sono 3mila nuovi battesimi.


Città del Vaticano (AsiaNews) – La fede della comunità cattolica di Singapore è davvero sorprendente; la cattedrale è sempre gremita e la partecipazione è notevole in tutte le 33 parrocchie dell’arcidiocesi; i fedeli sono molto coinvolti e offrono un grande sostegno, testimoniando la propria fede tra gli ultimi”. Le opere sociali, formazione dei laici, dialogo interreligioso e giovani: sono i principali “fronti missionari” in cui è impegnata la Chiesa singaporiana. Così mons. William Goh Seng Chye (foto), arcivescovo di Singapore, racconta l’esperienza e la testimonianza della Chiesa cattolica nella città-Stato. Insieme ai vescovi di Malaysia e Brunei, mons. Goh si è recato in Vaticano tra il 4 ed il 9 febbraio scorsi per una visita ad limina. Riportiamo la terza parte (di tre) dell’intervista rilasciata ad AsiaNews. Qui è possibile trovare la prima e la seconda parte della conversazione.

Gran parte della popolazione singaporiana si identifica in una fede religiosa. I buddisti ed i taoisti sono il 43% ed il cristianesimo rappresenta il secondo gruppo quanto a numero di fedeli. Grazie anche all'influenza occidentale, i cristiani nel Paese (locali e residenti permanenti) sono sempre di più ed i circa 383mila cattolici costituiscono il 9% della popolazione, mentre i protestanti l'11%. A seguire, l’islam è al 14% e l'induismo al 14%. “Tuttavia, e questa è per noi una preoccupazione – dichiara mons. Goh – vi è un crescente numero di persone (il 18,5%) che dichiara di non appartenere a nessuna confessione. Questo è un importante gruppo che dobbiamo cercare di avvicinare come possibilità di evangelizzazione”.

L’arcivescovo di Singapore individua nelle opere sociali “il principale fronte missionario per la Chiesa locale”. “Disponiamo di molte organizzazioni che assistono le persone bisognose, come Caritas Singapore, che è a capo di altre 25 associazioni. A Singapore, i fondi e le donazioni raccolte dalle nostre iniziative non possono per legge essere destinate a progetti all'estero, a meno che ciò non venga specificato prima ai donatori interessati. Per le iniziative umanitarie al di fuori dei confini nazionali (Cambogia, Vietnam, Filippine, Myanmar), l’arcidiocesi ha istituito la Caritas Humanitarian Aid & Relief Initiatives (Charis). I fedeli sono molto coinvolti e offrono un grande sostegno, testimoniando la propria fede tra gli ultimi”, afferma mons. Goh.

Altro ambito su cui la Chiesa di Singapore concentra la presenza ed i propri sforzi è il dialogo interreligioso e la promozione dell'armonia tra le diverse confessioni. “Nelle molte iniziative che ci vedono protagonisti – prosegue il prelato – non esitiamo a condividere le nostre esperienze di fede, senza fare proselitismo. Testimoniamo ciò che Gesù ha fatto nelle nostre vite, in che modo le ha cambiate e ha fatto la differenza”.

L’arcidiocesi rivolge particolare attenzione all’educazione dei giovani. A tal proposito, mons. dichiara: “In ciascuna delle oltre 35 scuole cattoliche formiamo il cuore dei ragazzi, prima ancora del loro intelletto. Non vogliamo leader che vivono per sé stessi, ma persone che hanno a cuore il prossimo. Questo è un aspetto su cui le scuole cristiane, cattoliche e protestanti, hanno lavorato molto ed è una preziosa eredità che lasciano alla classe dirigente del Paese. Se Singapore oggi è una nazione di successo, è anche perché la maggior parte dei nostri governanti ha frequentato le scuole missionarie, nonostante molti di essi non siano cristiani. È anche grazie all'insegnamento dei valori del Vangelo che Singapore dedica particolare attenzione alle politiche in favore della vita e della famiglia, resistendo alle pressioni dell'Occidente per l'attuazione di leggi come quelle sulle unioni omosessuali. Onestà e integrità sono virtù che stanno molto a cuore ai singaporiani”.

Ogni anno, la Chiesa di Singapore accoglie circa 3mila nuovi battezzati, ma le conversioni non sono il solo proposito delle iniziative della comunità cattolica. “Il nostro obiettivo è costruire una Chiesa che sia vibrante, evangelica e missionaria – ribadisce mons. Goh – Questo è anche il piano decennale dell’arcidiocesi. Il mio impegno è volto a rendere i cattolici più consapevoli, non solo a Singapore ma anche all’estero. A questo scopo, abbiamo creato il Catholic Theological Institute Of Singapore (Ctis), per preparare gli studenti alla nuova evangelizzazione tra le molteplici culture e religioni del nostro continente, poiché la formazione dei laici è fondamentale per la missione. La fede della comunità cattolica di Singapore è davvero sorprendente, ne è esempio la messa che organizziamo all’ora di pranzo per i lavoratori. La cattedrale è sempre gremita e la partecipazione è notevole in tutte le 33 parrocchie dell’arcidiocesi, dove ad ogni funzione nei giorni sono presenti circa 300-400 fedeli. Essi cercano pace, conforto in una vita quotidiana che a Singapore è caratterizzata dallo stress”.

“Essendo molto istruiti, i cattolici singaporiani sono piuttosto esigenti – prosegue l’arcivescovo –  Pronunciare buone omelie è dunque un dovere per i nostri sacerdoti. I fedeli bramano la Parola di Dio e sentono il bisogno di trovare un collegamento tra la fede e le loro vite, ragion per cui sanno essere critici nei confronti dei pastori che non sono abili nei loro sermoni. Fortunatamente disponiamo di bravi sacerdoti, che attraverso il Verbo sono in grado di toccare i loro cuori”.

Il calo delle vocazioni sacerdotali è tuttavia una grande preoccupazione per mons. Goh, che individua nella partecipazione dei fedeli alle opere pastorali un modo per contrastare gli effetti negativi del fenomeno. Egli afferma: “È più che mai importante coinvolgere i laici nella vita della Chiesa, perché in fondo è a loro che essa appartiene. Le nostre scuole sono dirette soprattutto da persone non consacrate, poiché l’età media del clero è sempre più alta. In parrocchie che servono circa 6mila fedeli, consideriamo ‘giovane’ un sacerdote di 40 anni. In ogni comunità vi è sempre molto lavoro da svolgere ed il tempo che dedichiamo ai giovani è sempre troppo poco. A questo si aggiunge la grande differenza di età tra i ragazzi ed i pastori, che incide sulla reciproca comunicazione. Il rischio è che non vi sia nessuno a rispondere alle numerose e sempre più esigenti domande degli adolescenti. Per trovare una soluzione al problema e provvedere alla cura pastorale dei giovani, abbiamo istituito l’Office for Young People (Yop). Questa iniziativa assiste i ragazzi nella ricerca di Gesù e delle risposte che necessitano”.