Libro bianco sulla democrazia: sotto il dominio del Partito comunista
di Bernardo Cervellera

Roma (AsiaNews) – Un grande osanna alla "democrazia" raggiunta sotto la guida del Partito comunista e uno sguardo a qualche possibile futuro miglioramento, dato che "in alcune zone" del paese non vi è piena attuazione degli enormi successi mietuti in questi decenni: questa la sintesi di un documento di 74 pagine, suddiviso in 10 capitoli, una premessa e una conclusione, pubblicato ieri dall'Ufficio d'Informazione del Consiglio di Stato cinese dal titolo "Costruire la democrazia politica in Cina".

Pur avendo detto che la parola "democrazia" è frutto di un travaglio culturale e storico mondiale, il volume precisa che in Cina si è insediato – "con una scelta del popolo e della storia" una particolare democrazia, quella socialista.

Il primo capitolo del documento, "Una scelta ben adatta alle condizioni della Cina" è un tentativo di giustificare con slogan il fatto che la democrazia in Cina è venuta dal Partito Comunista: " La democrazia cinese è una democrazia popolare sotto la guida del Partito comunista (Pcc). Senza il Pcc non ci sarebbe una nuova Cina; né ci sarebbe una democrazia del popolo".

La conclusione di ogni analisi è la seguente: "la leadership del Pcc è una garanzia fondamentale per il popolo cinese, perchè essi siano padroni nel condurre gli affari della loro nazione".

La serie di capitoli dal III all'VIII mostra quanto bene fa il Pcc alla democrazia attraverso l'Assemblea nazionale del popolo (il parlamento cinese che si raduna una volta all'anno); verso i partiti minori (pochi milioni di aderenti), sempre "consultati" dal Pcc; verso le autonomie delle regioni etniche autonome, come lo Xinjiang e il Tibet, che vivono sotto una occupazione militare di fatto; verso gli esperimenti di democrazia nei villaggi rurali, dove i capi villaggio corrotti non accettano le conclusioni delle elezioni e con l'aiuto della polizia arrestano i loro oppositori (v. ad esempio il villaggio di Taishi in questi mesi).

Tutti i capitoli sono pieni di lode al Pcc e alle direttive positive del governo, senza neppure verificare se quelle direttive sono attuate o meno.

Stesso schema per il capitolo VII sui diritti umani. In esso si ricorda che nel marzo 2004 la Costituzione cinese ha subito un emendamento perché è stata inserita la frase " lo Stato rispetta e difende i diritti umani". Dopo è un grande elogio al Pcc che garantisce i diritti alla sussistenza economica, alla pensione, alla sanità di poco più di 150 milioni di persone, su 1,3 miliardi . Qui le cifre offerte dal documento non corrispondono a quelle di organizzazioni internazionali. Per il governo cinese i poveri nelle campagne sono 26,1 milioni; per l'Asian Development Bank sono oltre 170 milioni.

Altre affermazioni non coincidono con la realtà: si parla di diritti religiosi rispettati (senza parlare di fedeli imprigionati o limitati nell'espressione religiosa); di diritti di proprietà (senza parlare di espropri e distruzioni); di diritti delle donne, degli anziani, dei minori e dei portatori di handicap.

Nelle conclusioni il documento si fa più "umile": nonostante gli "enormi risultati raggiunti" – si dice – "il Pcc e il popolo cinese sono ben coscienti dei molti problemi da superare".

Le piste attraverso cui si vuole migliorare la democrazia popolare cinese sono nell'alveo della migliore tradizione:

1)      "sostenere l'unità della leadership del  Pcc, lasciando il popolo essere i padroni della nazione, governando il paese col diritto";

2)      mostrare "i vantaggi del sistema socialista";

3)      mantenere "la stabilità sociale", lo "sviluppo economico" e il "miglioramento della vita del popolo";

4)      salvaguardare l'integrità nazionale, territoriale e la dignità dello stato".

 

 Un fatto che va sottolineato: nell'analisi storica sulla nascita della Nuova Cina e della democrazia popolare non si fa per nulla il nome di Mao Zedong, né quello di Deng Xiaoping o di Jiang Zemin. È forse la prima volta che in un documento ufficiale non si esalta il contributo del "timoniere" e dell'"architetto" e dell' "ingegnere" delle riforme, come se si volesse salvare l'idea – il Pcc ha generato la democrazia in Cina – senza giungere a controversi casi particolari, come la dittatura sanguinaria di Mao, quella militare di Deng, quella spettacolare e arrogante di Jiang.

La domanda che molti analisti si fanno è la seguente: a che serve un documento che continua ad affermare i grandi successi teorici raggiunti, senza analizzare i fallimenti e farsi ammaestrare da essi? La risposta è forse questa: il documento sulla democrazia è ad uso interno, per rivendicare un ruolo d'importanza del Pcc proprio in un momento in cui tutti, anche i membri, sono preoccupati delle ingiustizie e del divario sociale fra ricchi e poveri. Qualche settimana fa lo stesso premier Wen Jiabao ha ammesso che le attuali tensioni sociali mettono in forse "la stessa sopravvivenza del Pcc".

Con queste prospettive rimane un'unica soluzione: riaffermare il ruolo guida e assoluto del Partito, assolvendolo da ogni fallimento storico.