Caritas Bangladesh è ‘l’organizzazione più impegnata per i profughi Rohingya’ (Foto)
di Sumon Corraya

L’associazione opera nel campo di Cox’s Bazar attraverso 200 volontari. Ogni giorno nutre 46mila rifugiati; ha installato 250 pannelli solari e edificato 12mila piccole abitazioni. Il governo di Dhaka vuole spostare 150mila persone nel campo di Vasanchor “ma i Rohingya vogliono stare insieme”.


Cox’s Bazar (AsiaNews) – Caritas Bangladesh è l’organizzazione più impegnata nel dare sollievo ai profughi musulmani Rohingya. Lo dice ad AsiaNews Francis Ranjon Rozario, assistente direttore esecutivo del braccio sociale della Chiesa cattolica nel Paese. Di fronte all’enorme emergenza scoppiata lo scorso agosto con la ripresa delle ostilità nello Stato birmano del Rakhine, l’associazione si è subito attivata per portare aiuto. Ad oggi, i numeri sono notevoli: “Abbiamo contribuito a costruire 12mila piccole case, distribuito 12mila bombole del gas. Diamo da mangiare a 46mila rifugiati, abbiamo installato 250 pannelli solari nei campi e molto altro verrà fatto”.

Rozario riferisce che da quando è iniziato l’arrivo dei profughi, “l’associazione ha portato a termine sette programmi e il governo ha già approvato ulteriori progetti”. A differenza di altre organizzazioni non governative “che non hanno ricevuto l’approvazione ad operare da parte delle autorità [di Dhaka], la Chiesa invece non ha mai avuto ostacoli per lavorare con gli sfollati”.

In previsione della Giornata mondiale del rifugiato, che si è celebrata ieri, il 19 giugno una delegazione della Caritas e della Chiesa locale ha visitato il campo di Cox’s Bazar. Qui operano circa 200 volontari. Tra i promotori dell’incontro, mons. Moses M. Costa, arcivescovo di Chittagong; mons. Lawrence Subroto Hawlader, vescovo di Barisal; e i direttori degli uffici distrettuali dell’organizzazione. Dopo l’incontro con alcuni operatori sociali ed esponenti della comunità musulmana, i cattolici hanno distribuito pasti a 2mila bambini.

I Rohingya (poco più di un milione di persone) sono un gruppo etnico di religione musulmana originario del Bangladesh; il Myanmar, a maggioranza buddista, non riconosce loro la cittadinanza. Dopo lo scoppio della nuova ondata di violenze, circa 700mila persone hanno attraversato la frontiera e si sono accampate lungo il confine in campi di fortuna, dove le condizioni igienico-sanitarie sono precarie, per i bambini è quasi impossibile studiare, e vi è il rischio continuo di catastrofi umanitarie a causa del maltempo.

Lo scorso settembre Caritas Bangladesh ha aderito alla campagna “Share the journey” promossa da Caritas Internationalis e rinnovato l’impegno all’accoglienza di rifugiati e migranti. “Tale impegno continua tuttora – dice l’assistente direttore – lavoriamo con i Rohingya perché avvertiamo il loro dolore. Al momento essi soffrono a causa della piogge monsoniche. Migliaia di case sono state danneggiate dalle precipitazioni, molti pozzi sono fuori uso. Non hanno gas per cucinare, nonostante gli aiuti”. Infine il cattolico fa sapere che il governo ha intenzione di spostare 150mila profughi nella zona di Vasanchor [costa meridionale del Bangladesh, ndr], “ma i Rohingya non vogliono. Essi vogliono rimanere insieme”.