Fra’ Narciso Cavazzola, 53 anni di missione nell’Hokkaido

È direttore di un asilo, responsabile di due parrocchie, ha fondato un centro per gli alcolisti e sostiene i ragazzi che soffrono di depressione. Arriva in Giappone a 25 anni ed è costretto a “rinascere a un nuovo mondo”. Battezza molti giapponesi, e tre di questi entrano in seminario. “Non è la bravura del missionario che attrae: è la sua fede, la fede che si vede, anche se non si sente con le parole”. Una sola parola per definire i suoi 53 anni in Giappone: “Grazie, affido il futuro a Dio”.


Sunagawa (AsiaNews) – Direttore d’asilo, responsabile di due parrocchie a Sunagawa, sostegno per giovani in difficoltà e una porta aperta per le persone che soffrono d’alcolismo. Sono solo alcune delle numerose esperienze vissute da fra’ Narciso Cavazzola, francescano, in Giappone da 53 anni.

Nel luglio del 1965, il giovane fra’ Cavazzola ha 25 anni. “Quando sono arrivato in Giappone avevo 25 anni e una mentalità occidentale. I giapponesi capiscono con il sentimento, il cuore. Ho dovuto dimenticare tutto quello che avevo imparato fino all’età di 25 anni e ‘rinascere’ a un nuovo mondo.” Senza dimenticare il problema della lingua giapponese. “A lungo mi sono chiesto se avrei mai davvero imparato come parlare con questa gente”.

Il missionario svolge le sue attività soprattutto nell’isola settentrionale di Hokkaido, nel nord-est. Qui insegna italiano, inglese e pianoforte – e si appassiona alla danza giapponese. Battezza molte persone, tre delle quali hanno scelto la via del seminario. “Tengo ciascuno di loro nelle mie preghiere”.

“Come direttore dell’asilo – afferma il francescano – ho avuto occasione di conoscere tante famiglie. Tante esperienze, su cui ho scritto cinque libri. Una che mi ha colpito molto è stata quella con gli alcolisti anonimi. Noi forniamo i locali, si radunano due volte a settimana, dalle sette di sera alle otto e mezza. Tempo fa, fra questi c’era un Ainu [minoranza etnica giapponese, in passato perseguitata, ndr]. L’alcool gli faceva vedere cose che non esistono, spaventose. Vedeva il nazista Rommel, immaginava i lampioni della luce che lo inseguivano. Con questa agonia, è andato all’ospedale, dove gli hanno consigliato di venire alle riunioni in Chiesa”. Grazie al sostegno del gruppo degli alcolisti anonimi, riesce a liberarsi dalla dipendenza, che gli lascia un vuoto e una domanda di senso della vita. Una richiesta a cui trova risposta nella Bibbia, regalatagli dal missionario.

“I bambini guardano fisso negli occhi – continua il missionario –  Una volta, un bambino mi ha domandato: ‘Le piace la sua faccia?’. Mi ha colto di sorpresa! Così, con un po’ di furbizia, gli ho detto: ‘E a te, piace la tua faccia?’. Lui, tutto sorridente, risponde, ‘Sì, questa faccia perché me l'ha fatta la mia mamma e il Buon Dio’. Dai bambini si possono imparare tante cose”.

Nei 53 anni di servizio, fra Cavazzola viene a contatto con alcuni giovani in difficoltà, fra cui tre ragazze che soffrono di agorafobia. “Una di loro aveva tentato 16 volte di suicidarsi. Io le seguivo, tenendomi in contatto con il loro medico, che mi diceva di incoraggiarle. Dopo tre anni, sono tornate a scuola. Tutte e tre si sono sposate ed hanno figli”. Seppure non battezzate, le giovani rispettano la Chiesa per la gratuità del sostegno ricevuto dal missionario.

“Non è la bravura del missionario che attrae: è la sua fede, la fede che si vede anche se non si sente con le parole”. Fra Cavazzola ricorda un missionario anziano che non sapeva parlare giapponese. Ogni settimana, egli faceva catechismo a un giapponese che voleva battezzarsi. “Alla festa per il suo battesimo, l’uomo gli ha detto: ’Padre, la ringrazio dell’anno che ha speso per me, però devo confidarle: lei parlava come poteva, ma io non ho mai capito niente di quello che diceva. Sia tranquillo, ho visto che parlava con tanta sicurezza che quello che diceva doveva essere vero’. Io forse parlo giapponese meglio di quel sacerdote, ma è la stessa cosa: la fede si trasmette se si vede. Il mio passo preferito del Vangelo è ‘Beati i poveri di spirito’, perché non pretendono di fare con le proprie forze, ma chiedono a Dio di far uso di loro. La forza di propagare la fede non è in me, ma è Dio che lavora attraverso me”.

“Il mio venire in Giappone – conclude il francescano – è stata una chiamata da parte del Signore. Di questi 50 anni, dovrei solo dire una parola: grazie. Grazie di tutto, del passato, delle esperienze, delle sofferenze, di tutte le persone che mi hanno voluto bene e di quelle che mi hanno fatto patire. Per quanto riguarda il presente, cerco di fare del mio meglio. Il futuro è nelle mani di Dio, e lo lasciamo a Lui”.