Google conferma: pronto un motore di ricerca per la Cina (censura inclusa)

Il capo del settore privacy del colosso informatico parla a un’audizione del Senato Usa: “Il progetto Dragonfly esiste, ma non ne so niente”. Si tratterebbe di un motore di ricerca dedicato al mercato cinese e in grado di censurare le richieste considerate “scomode” da Pechino. Con 802 milioni di utenti internet, la Cina è la comunità online più grande al mondo.


Washington (AsiaNews/Agenzie) – Per la prima volta, un alto dirigente di Google ha ammesso l’esistenza del progetto “Dragonfly”: un motore di ricerca dedicato al mercato cinese e in grado di censurare le richieste considerate “scomode” da Pechino. Keith Enright, capo del settore privacy del colosso tecnologico, ha spiegato durante un’audizione al Senato americano che “esiste il progetto. Ma i contorni, i dettagli dell’operazione non sono ancora chiari”.

“Dragonfly” sarebbe partito nella primavera del 2017, dopo un incontro fra l’amministratore delegato di Google Sundar Pichai e un alto funzionario del governo cinese. Lo stesso Pichai aveva parlato del mercato cinese nel 2016: “Google è per tutti. Noi vogliamo essere presenti in Cina, al servizio di utenti cinesi”. Al momento “Big G” ha tre uffici aperti sul territorio e circa 700 dipendenti, nonostante il suo maggior prodotto – il motore di ricerca – non sia utilizzabile nel Paese.

Il sito, sia nella versione pc che mobile, sarebbe in grado di bloccare ogni ricerca online su temi come diritti umani e religione. È presumibile che entrino nella censura automatica anche altre questioni sensibili per il Partito comunista come Tibet, Xinjiang, Liu Xiaobo o Dalai Lama. “Da quello che so io – ha detto più volte Enright ai senatori americani – non siamo vicini a lanciare un prodotto dedicato alla ricerca in Cina. E non saprei dire se possiamo o vogliamo farlo”.

In Cina vivono 1,4 miliardi di persone: tra queste, 802 milioni hanno un accesso a internet e rappresentano dunque la più grande comunità online del mondo intero. Pechino ha bloccato da anni Google, Facebook, Twitter e Instagram per ritorsione contro il diniego di Google – nel 2010 – di fornire dati sensibili di alcuni utenti.