L'esercito di Tokyo potrà operare all'estero insieme con gli Usa
di Pino Cazzaniga

E' la conseguenza di un accordo che modifica il pacifismo giapponese, previsto dalla Costituzione. C'è chi vi vede una reazione alla crescita della Cina.


Tokyo (AsiaNews) – Sta suscitando reazioni in Giappone il documento "Alleanza tra Stati Uniti e Giappone: trasformazione e riallineamento per il futuro", firmato il 28 ottobre a Washington, e presentato alla stampa da due coppie ministeriali di alto livello: Condoleezza Rice, segretario di Stato americano, e Nobutaka Machimura, ministro degli Esteri giapponese, con Donald Rumsfeld. segretario alla difesa americano, e Yoshinori Ono, direttore dell'Agenzia di difesa giapponese.

Il documento è stato presentato come "rapporto provvisorio". Si tratta in realtà di una meta definitivamente raggiunta, dopo due anni di lavoro, dal "Comitato consultivo tra Stati Uniti e Giappone per la sicurezza" e i ritocchi che potrebbero essere apportati al documento, prima della sua entrata in vigore nel mese di marzo, non toccheranno la sostanza. La novità consiste nel fatto che gli uomini dell'"Agenzia di difesa" (cioè l'esercito) giapponese d'ora in poi potranno varcare i confini dell'arcipelago per collaborare accanto all'alleato statunitense alla sicurezza mondiale.

Il documento rappresenta un cambiamento sostanziale rispetto a quanto afferma l'articolo 9 della Costituzione giapponese del 1947, proposta (o imposta) dal generale Mc Arthur: "Il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all'uso della forza come mezzo per risolvere dispute internazionali. Per ottenere questo scopo non manterrà mai forze (armate) di terra, di mare o di cielo". Già solo 5 anni dopo (1952) il governo americano doveva essersi pentito della puritana intransigenza, perchè al trattato di pace aggiungeva quello di mutua sicurezza, permettendo al Giappone di avere un suo esercito, che, in ottemperanza al dettame della costituzione, si chiama "Agenzia di auto-difesa". Come contropartita il Giappone concedeva all'alleato di disporre sul suo territorio di potenti basi militari.

Fino agli anni '80 mai uomini o mezzi della Forza di autodifesa (SFD: Self Defence Forze) si sono avventurati fuori dei confini della nazione: il principio costituzionale antimilitarista era una barriera invalicabile. Ma poi il governo ha deciso di contribuire alla sicurezza mondiale, nel contesto dell'ONU, inviando contingenti della SDF in zone calde, bisognose di ricostruzione come la Cambogia o l'East Timor. Una breccia, probabilmente irreversibile, nella diga costituzionale si è aperta all'inizio degli anni 2000: durante la guerra americana in Afganistan il governo giapponese ha messo a disposizione due navi della SDF, fornite dei più sofisticati strumenti di comunicazione., Attualmente staziona in Iraq un contingente di 3000 soldati giapponesi.

Gli accordi firmati a Washington la settimana scorsa, che il segretario alla difesa Rumsfeld considera "coraggiosi e significativi", costituiscono la tappa più sostanziosa in questo cammino di mutua collaborazione.

Visti nella prospettiva dello sviluppo democratico del Giappone e del dialogo tra le nazioni dell'Asia orientale, sembrano piuttosto un regresso. L'editorialista del quotidiano giapponese Asahi scrive: "D'ora innanzi il Giappone sosterrà l'azione militare americana su base globale. Un tale cambiamento equivale alla revisione del trattato di sicurezza.". Una decisione così grave non poteva essere presa senza una consultazione popolare o parlamentare.

David Wall, già docente dell'istituto di studi sull'Asia orientale alla Cambridge University, vede nel recente movimento militarista giapponese una reazione di risentimento verso la Cina. Scrive: "Il fatto che la Cina sta assumendo un ruolo di leader dell'Asia orientale, in modo pacifico e con il sostegno di altre nazioni dell'Asia, aumenta il risentimento nell'ambiente del nazionalismo di destra giapponese…In seguito al potenziamento di questa alleanza militare è difficile non concludere che il Giappone, assieme agli Usa, mira a contenere il potere e l'influenza della Cina nella regione".

L'opinione del professore americano sembra troppo pessimista. Il 50%, almeno, dei giapponesi è per l'apertura all'Asia in genere e particolarmente alla Cina.