Leader dei Khmer Rossi condannati all’ergastolo per genocidio

Essi volevano creare una società “atea e omogenea”, eliminando “tutte le differenze etniche, religiose, razziali, di classe e culturali”. Il tribunale speciale, costituito nel 2006, ha condannato finora solo tre persone.  Hun Sen vuole la sua fine.


Phnom Penh (AsiaNews) – Un tribunale dell’Onu ha condannato oggi al carcere a vita due leader dei Khmer Rossi per “genocidio”. Si tratta di Nuon Chea, 92 anni (a destra nella foto), il vice del leader Pol Pot, e di Khieu Samphan, 87 anni (a sin. nella foto), che è stato presidente della Kampuchea democratica, lo Stato fondato dai Khmer Rossi dal 1975 al 1979.

I due stanno già scontando l’ergastolo per “crimini contro l’umanità” operati sulla popolazione cambogiana. Quella di oggi è la prima condanna per “genocidio” e si riferisce al piano di distruggere l’etnia Cham musulmana, i vietnamiti in Cambogia e altre minoranze religiose.

La sentenza afferma che i Khmer Rossi volevano “stabilire una società atea e omogenea, sopprimendo tutte le differenze etniche, religiose, razziali, di classe e culturali”. I due condannati hanno negato le atrocità commesse.

Si calcola che nel breve, ma brutale periodo del loro governo, siano stati uccisi fino a due milioni di persone. La popolazione khmer è stata costretta ai lavori forzati nei campi, alla prigionia, alle torture, a subire massacri. Ma l’uccisione di khmer da altri khmer non era considerata “genocidio”. La sentenza di oggi invece denuncia il piano di Pol Pot di voler estirpare “i vietnamiti fino all’ultimo seme”, come pure l’etnia Cham. Secondo le testimonianze emerse al processo, fra il 1975 e il 1979, fra 100mila e 500mila Cham sono stati uccisi con massacri collettivi, roghi di libri di preghiere, decapitazioni, stupri, matrimoni forzati e cannibalismo.

Il tribunale speciale della Cambogia per i crimini dei Khmer Rossi è stato stabilito nel 2006 e finora ha condannato solo tre persone.

Nel 2010 ha condannato Kaing Guek Eav, detto “Duch”, responsabile del famoso centro di tortura di Tuol Sleng, dove oggi si trova il museo del genocidio. In prigione Duch è diventato cristiano ed è l’unico ad aver riconosciuto i suoi crimini e ha chiesto perdono.

Accusato insieme a Khieu Samphan e Nuon Chea, vi era Ieng Sary, che però è morto nel 2014, prima della conclusione del primo processo. Sua moglie, Ieng Thirith, ministro degli affari sociali della Kampuchea, anch’ella accusata, è stata giudicata non sana di mente ed è morta nel 2015. Pol Pot, “fratello numero uno”, è morto nel 1998 senza aver subito alcun processo.

Sebbene vi siano accuse contro altri Khmer Rossi, il premier Hun Sen si è espresso molte volte contro il prosieguo dei processi Anche lui è stato un leader dell’organizzazione. A parere del premier, il popolo cambogiano vuole voltare pagina e dimenticare quel periodo di violenza.

In effetti, la maggioranza dei cambogiani non si cura del processo. I giovani soprattutto, desiderano che il loro Paese sia conosciuto per qualcosa d’altro che per i massacri.