India, la Camera Bassa elimina il divorzio islamico

La norma prevede fino a tre anni di reclusione per i trasgressori. L’India è uno dei pochi Paesi al mondo in cui è ancora in vigore la legge islamica in tema di matrimoni. Le donne musulmane lamentano gravi forme di discriminazione.


New Delhi (AsiaNews/Agenzie) – Con 245 voti a favore e 11 contrari, ieri la Lok Sabha (Camera bassa) del Parlamento indiano ha approvato la legge che criminalizza e punisce la pratica del divorzio breve islamico, o “triplo talaq”. La legge ora passa alla Rajya Sabha (Camera alta), cui spetta l’approvazione finale.

La legge s’intitola Muslim Women (Protection of Rights on Marriage) Bill 2018 e prevede fino a tre anni di reclusione per i trasgressori, cioè i mariti di fede musulmana che abbandonano le mogli anche solo con l’invio di un messaggio sul cellulare. Nel presentare la norma davanti ai parlamentari, il ministro della Giustizia Ravi Shankar Prasad ha sottolineato che la norma non è contro nessuna comunità religiosa. “Non c’è politica nella legge – ha detto –. Si tratta solo di umanità e giustizia”.

L’India è uno dei pochi Paesi al mondo in cui è ancora in vigore la legge islamica in tema di unioni. Da tempo le donne lamentano che la pratica del divorzio verbale produce gravi discriminazioni, lasciandole in balia dei capricci dei mariti. Questi spesso decidono di divorziare dalle mogli pronunciando la parola “Talaq” (divorzio) per tre volte, e sono a tutti gli effetti liberi dai vincoli matrimoniali.

La battaglia contro il divorzio verbale islamico è un’iniziativa delle donne musulmane riunite nell’associazione Bharatiya Muslim Mahila Andolan (Bmma). Nel 2016 la Bmma ha deciso di sfidare il sistema matrimoniale musulmano e presentato una petizione alla Corte suprema indiana. Con una sentenza dell’agosto 2017, i giudici hanno definito la pratica “incostituzionale”, lasciando però la definizione della materia nelle mani del Parlamento. A dicembre dello stesso anno la Camera bassa (Lok Sabha) ha messo fuori legge la pratica, prevedendo il carcere per i trasgressori. A settembre, visti i ritardi dell’iter legislativo, il governo ha preso l’iniziativa firmando un decreto, che ieri è stato tramutato in legge dal ramo parlamentare.