Dhaka, anche i cristiani celebrano il giorno dell’Indipendenza (Foto)
di Sumon Corraya

Nella parrocchia di Tejgaon si è svolta una messa solenne. Alla funzione partecipavano ex combattenti per la libertà e cattolici che hanno offerto rifugio a migliaia di indù. Un cattolico: “Lottavamo per i valori di democrazia, laicità, socialismo, nazionalismo”. Ricordati i quattro martiri cattolici.


Dhaka (AsiaNews) – Nel giorno dell’Indipendenza, che ricorreva ieri, i cattolici di Dhaka hanno celebrato una messa solenne nella chiesa dell’Holy Rosary di Tejgaon. Alla messa erano presenti circa 300 fedeli. In comunione con loro, si sono uniti tanti altri cristiani in tutto il Paese. Diversi gruppi hanno deposto una corona di fiori al mausoleo nazionale a Savar.

Sorto 49 anni fa sulle ceneri di una sanguinosa guerra civile, oggi il Bangladesh è un Paese da oltre 160 milioni di abitanti. I cristiani, oltre a dare rifugio a migliaia di indù durante il conflitto, hanno spesso pagato con il sangue il sostegno ai valori di libertà e democrazia. Quei valori, lamentano alcuni cattolici, in molte zone del Paese sono ancora disattesi. Quei martiri, sono stati ricordati nelle cerimonie di ieri.

Il Bangladesh (ex Pakistan orientale) è nato come Stato sovrano e indipendente il 16 dicembre 1971. Nove mesi prima, il 26 marzo, Sheikh Mujibur Rahman, padre dell’attuale premier Sheikh Hasina, aveva annunciato l’indipendenza. L’annuncio ha scatenato la reazione violenta delle truppe pakistane, che contro la popolazione bengalese hanno compiuto un genocidio, motivato almeno in apparenza da un conflitto religioso (pakistani musulmani, bangladeshi indù). In tutto, si calcola che i soldati di Islamabad abbiano ucciso tre milioni di persone, stuprato almeno 200mila donne e dato alle fiamme migliaia di case.

La comunità cristiana è stata tra le vittime della sanguinosa lotta di liberazione ingaggiata dai Freedom Fighters del Bangladesh. Per difendere il proprio Paese, circa un migliaio di cristiani si sono uniti alla lotta armata. Ieri durante la messa p. Kamal Corraya, parroco della chiesa di Tejgaon, ha ricordato i combattenti che hanno dato la propria vita per il Paese. Tra i cristiani, anche 15 Freedom Fighters e 150 civili.

Oltre a centinaia di templi indù bruciati e decine di sacerdoti, intellettuali e leader massacrati, hanno trovato la morte due missionari cattolici, una suora bengalese e un prete locale. Essi sono: p. William Evans, missionario americano dell’Holy Cross; p. Lucas Marandi, della diocesi di Dinajpur; p. Mario Veronesi, saveriano italiano.

Alla messa era presente sr. Mary Nibedita, che durante la guerra era un’insegnante. “A quell’epoca – racconta – nella nostra chiesa abbiamo dato rifugio a tanti indù. Abbiamo salvato la vita a migliaia di persone, curato i combattenti feriti, nutrito gli affamati”. Oggi la suora fa l’infermiera di professione. “I cattolici hanno avuto un ruolo fondamentale – dice – nel costruire un Paese pacifico. Tuttavia vediamo che il conflitto è ancora tra di noi. Questo non è il Paese che il nostro fondatore voleva”.

Il cattolico William Atul Kuluntunu è ex Freedom Fighter. “Lottavamo – afferma – per degli obiettivi precisi: democrazia, laicità, socialismo, nazionalismo. Oggi tutti questi valori non ci sono. La laicità non esiste, e nessuno parla del socialismo. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Sognavamo un Paese pacifico, ma il nostro sogno ancora non si è avverato”.

P. Corraya evidenzia che “dalla guerra dell’Indipendenza, il Paese è migliorato tanto. I Bihari (pakistani) vivono in mezzo a noi come bengalesi e non esistono conflitti. Il popolo del Bangladesh ha un cuore grande. Mentre i Paesi ricchi non accolgono i migranti, in Bangladesh accogliamo i rifugiati. In questo Paese le persone vivono in armonia”.