Mons. Guo Xijin e i ricatti nella diocesi di Mindong dopo l’accordo fra Cina e Santa Sede
di Bernardo Cervellera

L’ex vescovo ordinario, ora ridotto a vescovo ausiliare su richiesta di papa Francesco, non potrà celebrare la messa crismale. L’Ufficio affari religiosi non lo riconosce come vescovo, a meno che egli non si iscriva all’Associazione patriottica. Da tutti i sacerdoti non ufficiali si esige l’iscrizione e il sostegno alla “Chiesa indipendente”. Se si iscrivono ricevono un premio di 200mila yuan (26mila euro). L’ambiguità di mons. Zhan Silu, che da scomunicato, è ora il vescovo ordinario della diocesi.


Roma (AsiaNews) – Mons. Vincenzo Guo Xijin rischia di non poter celebrare la messa crismale del Giovedì Santo perché l’Ufficio affari religiosi e il Fronte unito non lo riconoscono come vescovo. Fino a pochi mesi fa, mons. Guo (foto 1) era vescovo ordinario di Mindong (Fujian), riconosciuto dalla Santa Sede, ma non dal governo. In seguito all’accordo fra Cina e Vaticano e all’eliminazione della scomunica al vescovo ufficiale Vincenzo Zhan Silu (foto 2), su richiesta di papa Francesco egli ha accettato di essere retrocesso a vescovo ausiliare per lasciare la sede di ordinario a mons. Zhan.

Le autorità cinesi continuano però a non riconoscerlo come vescovo e bollano il suo ministero come “illegale”. In diversi dialoghi con lui, essi hanno posto come condizione per riconoscerlo vescovo ausiliare che lui si iscriva all’Associazione patriottica (Ap), l’organismo di controllo della Chiesa cattolica in Cina, che lavora per una “Chiesa indipendente” (dalla Santa Sede). John, un fedele commenta ad AsiaNews: “In pratica è un ricatto. Se il vescovo non si iscrive all’Ap, non potrà concelebrare con mons. Zhan Silu alla messa del crisma e rischia di non esercitare alcun ministero. Dopo l’accordo Cina-Vaticano, tutto si è capovolto: il vescovo che prima era illecito [scomunicato] ora può celebrare; quello che prima era l’ordinario, ora è diventato addirittura illegale! È una cosa da ridere, se non fosse un fatto serio e doloroso!”.

L’accordo sino-vaticano, agli occhi di papa Francesco doveva essere un passo per riconciliare i due rami della Chiesa cattolica in Cina, quella ufficiale e quella sotterranea. Nel Messaggio ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale, diffuso alcuni giorni dopo la firma dell’accordo, il pontefice parla di un processo di riconciliazione fra i cattolici ufficiali e non ufficiali, ma non dice che essa va ottenuta con l’eliminazione della comunità sotterranea e con l’adesione obbligatoria all’Ap. Anzi, citando papa Benedetto XVI, Francesco afferma che il fenomeno della clandestinità “non rientra nella normalità della vita della Chiesa”, ma dice anche – sempre con Benedetto – che “Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede”: proprio come nel caso della cosiddetta “indipendenza” della Chiesa, voluta dall’Ap.

 Ma in molte diocesi l’Ap e l’Ufficio affari religiosi continuano ad esigere che tutti i sacerdoti si iscrivano all’Ap e sostengano la “Chiesa indipendente”. Il Vaticano ha espresso una timida riserva in un’intervista del card. Fernando Filoni all’Osservatore romano, sottolineando che l’appartenenza all’Ap, secondo la legge cinese, dovrebbe essere facoltativa.

Invece, nella diocesi di Mindong, l’Ufficio affari religiosi sta chiamando uno ad uno tutti i sacerdoti sotterranei – che sono la maggioranza – ed esige da loro che si iscrivano all’Ap, altrimenti dovranno lasciare le parrocchie e non esercitare il ministero.

La diocesi di Mindong ha oltre 90mila cattolici. Di questi, almeno 80mila appartenevano alla Chiesa non ufficiale, serviti da 57 sacerdoti, 200 suore, 300 laiche consacrate e centinaia di laici catechisti. I sacerdoti della comunità ufficiale erano 12. Bastano questi numeri per comprendere che il tentativo dell’Ufficio affari religiosi è quello di distruggere la Chiesa diocesana, allontanando i sacerdoti che non vogliono piegarsi. Per invogliare all’iscrizione all’Ap, l’Ufficio affari religiosi ha offerto ad alcuni sacerdoti un premio fino a 200mila yuan (quasi 27mila euro). Ma finora nessuno ha accettato.

Secondo informazioni di AsiaNews, l’Ufficio affari religiosi esige che i sacerdoti clandestini firmino un documento. In esso si chiede che essi domandino al nuovo vescovo ordinario, mons. Zhan Silu, le facoltà sacerdotali, giurando obbedienza a lui. In secondo luogo, che essi giurino di obbedire alle leggi dello Stato, si iscrivano nelle organizzazioni statali e sostengano il principio di “indipendenza” della Chiesa. In pratica, più che di “riconciliazione”, si opera un colpo di spugna sulla comunità (ex) sotterranea, con una pesante intromissione nella vita della Chiesa.

Non si conosce la posizione di mons. Zhan Silu. Secondo alcuni fedeli egli avrebbe consigliato qualche sacerdote di firmare e aderire all’Ap. Va detto che egli è vice-presidente nazionale dell’Ap.

Agli inizi di marzo, egli era a Pechino come membro della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (Cpcpc). A un giornalista del Sintao Daily (3 marzo) che gli domandava se a lui non spiacesse che i fedeli vengono costretti a entrare nella comunità ufficiale, facendo scomparire quella non ufficiale, egli ha dichiarato che questo è l’unico modo per cui “la Chiesa sia unita”. In quell’occasione mons. Zhan ha perfino detto che i cattolici sotterranei non entrano nell’ufficialità perché hanno “motivi di interesse personale”.