P. Baio: La mia vita, un continuo ‘sì’ alla volontà del Padre
di Anna Chiara Filice

Il missionario italiano è in Bangladesh dal 1974. Nel Paese asiatico ha fatto “un’esperienza viva della Provvidenza”. Fondatore di diverse missioni del Pime, afferma: “Rendo grazie al Signore perché che mi ha condotto per mano, e io mi sono lasciato condurre nonostante i miei limiti e ho osato solo nella fiducia del suo aiuto”.


Dinajpur (AsiaNews) – Un continuo “sì” alla volontà del Padre: è il filo conduttore della vita di p. GianAntonio Baio, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere) in Bangladesh. Ad AsiaNews racconta la sua storia, la vocazione e la missione. Dice: “Tutto è iniziato quando avevo 15 anni con una provocazione da parte del parroco della chiesa che frequentavo. Dopo una confessione, mi disse: ‘Perché non ti fai prete?’. Se mi avesse dato uno schiaffo, non avrei sofferto tanto, pensando alle responsabilità che avevo in famiglia. Quel pensiero però non mi ha più abbandonato e alla fine, a 18 anni, mi sono arreso”. “Mia madre – continua – alla quale ho confessato che volevo entrare in seminario, mi ha risposto con occhi commossi: ‘Se è Gesù che ti chiama, tu vai’”. 

Alla soglia dei 75 anni, che compirà il prossimo 29 settembre, p. Baio ripercorre la sua vita, dedicata interamente a “fare la volontà di Cristo”. “Grazie a Dio – racconta – sono nato in una famiglia cattolica a Isola Vicentina, in Veneto. Eravamo molto poveri, quindi mio papà nel 1953 decide di trasferirci in Lombardia in cerca di lavoro”. Qui la famiglia cresce, fino ad arrivare a otto figli (due femmine e sei maschi). Tre di questi hanno dedicato la propria vita alla Chiesa: “Io sono un missionario, mia sorella minore è una suora benedettina e il mio quarto fratello è parroco. Lo scorso anno nell’isola di San Giulio [Novara], dove lei vive, abbiamo celebrato insieme i miei 45 anni di ordinazione, i 40 anni di mio fratello e i 25 anni di professione perpetua di mia sorella”.

Ordinato nel 1973, l’anno seguente p. Baio arriva in Bangladesh: da lì inizia la sua missione, un ripetersi di “sì” alle richieste dei superiori. La prima destinazione, a 29 anni, è come parroco di Bonpara e preside della scuola cattolica, con 1.800 alunni poveri in maggioranza musulmani. Nel 1979 diventa parroco della cattedrale di Dinajpur e preside della scuola di St. Philip; poi nel 1981 si trasferisce nella missione di Rohampur (Rajshahi), in un’area abitata da tribali Santhal. Nel 1989 l’allora arcivescovo di Dhaka chiede al Pime di avviare una presenza nella capitale. E anche in quel caso, risponde di “sì”. Oltre alla casa, egli edifica l’adiacente chiesa di Santa Cristina, che prende il nome da una ragazza italiana morta a 19 anni in un incidente stradale. “È stata sua nonna – racconta – a donarci i soldi per la costruzione”.

In contemporanea, nel 1993 il sacerdote fonda la chiesa di Mirpur, nel 2018 ceduta alla diocesi dopo 25 anni. Dopo 20 anni di missione, l’istituto gli chiede di tornare in Italia, dove rimane per 10 anni. Poi nel 2004 torna in Bangladesh e fonda un’altra missione a Kewachala. Infine dal 2017 è il rettore del santuario della Madonna di Pompei a Rajarampur, in terra Orao, famosa meta di pellegrinaggio e importante luogo di culto anche per i musulmani. “Per me venire qui è stata una grazia”, afferma.

Il missionario spiega che “tutti i ‘sì’ che ho pronunciato erano alla volontà del Signore. È il piano di Dio che si realizza in vari modi. È nella preghiera, riflessione e meditazione che riconoscevo che non era un mio capriccio, una mia scelta. Quindi mi fidavo delle proposte dei superiori”. Guardandosi alle spalle, sottolinea, “ho un senso profondo di gratitudine. Nonostante la mia timidezza e i miei limiti, per grazia del Signore sono riuscito a rendermi utile”.

P. Baio continua: “Ogni passo che facevo, ero preso da un senso profondo d’incapacità. Chiedevo: ‘Signore, proprio me hai scelto?’. Sapere che non è la mia, ma la sua volontà, la sua chiamata alla vocazione: è questo che ti rende coraggioso. Oggi vivo nel santuario e rendo grazie al Signore perché che mi ha condotto per mano, e io mi sono lasciato condurre nonostante i miei limiti e ho osato solo nella fiducia del suo aiuto. Di fronte alla debolezza, il Signore dice: ‘Fidati, io sono con te sempre’”.

Sulla sua missione in Bangladesh, afferma: “Quando vieni qui, ti innamori della gente e fai tutto quello che puoi per queste persone: ostelli, dispensari, scuole. Quando vedi questa povertà, te la tiri addosso. Nel senso che te ne fai carico, con la consapevolezza che è il Signore che mi manda”.

Guardandosi indietro, ai 35 anni dedicati a questo Paese, sostiene: “Ho dato tutto me stesso. Sono stato il tramite di tanti benefattori che si sono resi disponibili ad aiutare. In questo Paese ho fatto un’esperienza viva della Provvidenza. Ho dato il mio tempo e le mie energie, e ricevo da loro un sentimento di pace interiore, gioia, fraternità. Mi sento uno di loro. Se vivi insieme alla gente, non puoi che condividere tutto della vita: il poco cibo, le capanne piene di zanzare, la povertà, la sofferenza, i limiti. In queste condizioni di malattia e dolore, riuscire a ridare loro la speranza, ricolma il cuore di gratitudine al Signore”.