Alla messa in piazza san Pietro, papa Francesco canonizza il card. John Henry Newman; la suora indiana Mariam Thresia Chiramel Mankidiyan; l’italiana suor Giuseppina Vannini; la brasiliana suor Dulce Lopes Pontes; la svizzera Margherita Bays, terziaria francescana. Essi sono esempi della “santità del quotidiano”. Il cammino di fede va vissuto in tre tappe: invocare, camminare insieme, ringraziare. "Un cuore che ringrazia rimane giovane".
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Chiediamo di essere così, ‘luci gentili’ tra le oscurità del mondo. Gesù, «resta con noi e noi cominceremo a brillare come Tu brilli, a brillare in modo da essere una luce per gli altri»”. Con queste parole del card. John Henry Newman, papa Francesco ha concluso la sua omelia alla messa di canonizzazione celebrata questa mattina in piazza san Pietro, insieme a decine di migliaia di fedeli provenienti da tutto il mondo. Il card. Newman, (1801-1890), passato dall’anglicanesimo al cattolicesimo, oratoriano, è uno dei cinque canonizzati. Vi è poi una suora indiana, Mariam Thresia Chiramel Mankidiyan (1876-1926), fondatrice della congregazione delle suore della Sacra Famiglia; una italiana, Giuseppina Vannini (1859-1911, fondatrice delle Figlie di San Camillo; la brasiliana Dulce Lopes Pontes (1914-1992), fondatrice delle missionarie dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio; la svizzera Margherita Bays (1815-1879), terziaria francescana. Il pontefice li ha definiti degli esempi della “santità del quotidiano”: “Oggi – ha detto - ringraziamo il Signore per i nuovi Santi, che hanno camminato nella fede e che ora invochiamo come intercessori. Tre di loro sono suore e ci mostrano che la vita religiosa è un cammino d’amore nelle periferie esistenziali del mondo. Santa Marguerite Bays, invece, era una sarta e ci rivela quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa: attraverso queste cose il Signore ha fatto rivivere in lei lo splendore della Pasqua. È la santità del quotidiano, di cui parla il santo Cardinale Newman, che disse: «Il cristiano possiede una pace profonda, silenziosa, nascosta, che il mondo non vede. [...] Il cristiano è gioioso, tranquillo, buono, amabile, cortese, ingenuo, modesto; non accampa pretese, [...] il suo comportamento è talmente lontano dall’ostentazione e dalla ricercatezza che a prima vista si può facilmente prenderlo per una persona ordinaria» (Parochial and Plain Sermons, V,5)”.
In precedenza, riferendosi al vangelo proclamato alla messa in latino e in greco (Luca 17,11-19), il papa ha messo in luce “il cammino della fede”, in tre tappe, “segnalate dai lebbrosi guariti, i quali invocano, camminano e ringraziano”.
“Anzitutto, invocare… Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo, se gli diciamo: ‘Signore, io credo che puoi risanarmi; guariscimi dalle mie chiusure, liberami dal male e dalla paura, Gesù’… La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie. Invochiamo con fiducia ogni giorno il nome di Gesù: Dio salva. Ripetiamolo: è pregare. La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore”.
La seconda tappa è “camminare”: “La fede si fa strada attraverso passi umili e concreti, come umili e concreti furono il cammino dei lebbrosi e il bagno nel fiume Giordano di Naaman, nella prima Lettura (cfr 2 Re 5,14- 17). È così anche per noi: avanziamo nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana, invocando Gesù e andando avanti”.
Riferendosi ancora ai lebbrosi guariti di cui narra il vangelo, Francesco sottolinea che essi “si muovono insieme”. Da qui la conclusione: “noi che siamo qui a ‘fare Eucaristia’, cioè a ringraziare –, è compito nostro prenderci cura di chi ha smesso di camminare, di chi ha perso la strada: siamo custodi dei fratelli lontani. Siamo intercessori per loro, siamo responsabili per loro, chiamati cioè a rispondere di loro, a prenderli a cuore. Vuoi crescere nella fede? Prenditi cura di un fratello lontano, di una sorella lontana”.
“Ringraziare: è l’ultima tappa. Solo a quello che ringrazia Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato» (v. 19). Non è solo sano, è anche salvo. Questo ci dice che il punto di arrivo non è la salute, non è lo stare bene, ma l’incontro con Gesù… Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il ‘grazie’, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita”.
“Il culmine del cammino di fede – ha ribadito - è vivere rendendo grazie… Quando ringraziamo, il Padre si commuove e riversa su di noi lo Spirito Santo. Ringraziare non è questione di cortesia, di galateo, è questione di fede. Un cuore che ringrazia rimane giovane. Dire: ‘Grazie, Signore’ al risveglio, durante la giornata, prima di coricarsi è l’antidoto all’invecchiamento del cuore. Così anche in famiglia, tra sposi: ricordarsi di dire grazie. Grazie è la parola più semplice e benefica”.