Bangladesh, chiuse 50 fabbriche tessili: 25mila lavoratori disoccupati
di Sumon Corraya

I datori di lavoro giustificano i licenziamenti puntando il dito contro i maggiori costi di produzione. Per la federazione nazionale dei lavoratori, il taglio degli impiegati non è un problema “perché la maggior parte trova lavoro in altre aziende”. Il Bangladesh rischia di essere superato dal Vietnam nell’esportazione di capi d’abbigliamento.


Dhaka (AsiaNews) – Da febbraio in Bangladesh hanno chiuso almeno 50 industrie tessili, con conseguente perdita di lavoro per circa 25mila operai. Sono i numeri diffusi dalla Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association (Bgmea), che delineano un quadro critico per il principale settore dell’export del Paese, che impiega almeno quattro milioni di lavoratori, in maggioranza donne.

La crisi del manifatturiero si ripercuote sulla vita degli operai, che spesso protestano contro i licenziamenti in tronco da parte dei proprietari d’industria dando vita a manifestazioni in strada. Da parte loro, gli industriali addebitano il taglio dei posti di lavoro all’aumento dei costi di produzione.

Ad AsiaNews alcune lavoratrici protestano contro il licenziamento. Rumana Akter afferma: “I datori di lavoro dicono che i costi sono aumentati, ma non sono aumentati anche i salari. Invece di aumentare i salari di operai esperti, essi assumono nuovo personale con bassi stipendi. Ci hanno licenziato senza nemmeno avvisarci. Dove andrò a lavorare adesso?”.

Secondo la Bgmea, negli ultimi quattro anni i costi sostenuti dalle aziende per produrre capi d’abbigliamento destinati alle esportazioni sono aumentati del 18%. Al tempo stesso, l’incremento avrebbe ridotto la domanda del 7% da parte di acquirenti britannici e statunitensi.

Munzural Islam, 45 anni, guadagnava 28mila taka (301). Dopo aver protestato per l’aumento del salario, è stato licenziato. Ora lavora in un’altra industria dove viene pagato 20mila taka (222 euro). Secondo lui, “i magnati del tessile licenziano i dipendenti anziano per alleggerire i costi di produzione”.

Amrual Haq Amin, presidente della National Garments Worker Federation, conferma la chiusura delle piccole fabbriche e la perdita di 25mila posti di lavoro. Tuttavia, secondo lui, “la situazione per il settore è buona e la maggior parte dei [licenziati] ha trovato un nuovo impiego in un’altra azienda”.

Il Bangladesh è il secondo produttore al mondo di confezioni dopo la Cina. Il Vietnam, al terzo posto, di recente ha guadagnato terreno per alcune condizioni favorevoli rispetto al Bangladesh: tempi di consegna più brevi, miglior supporto logistico, maggiore capacità portuale e di attrarre investimenti diretti esteri per beni che poi vengono smistati dalla Cina.