Dongzhou, il massacro è nato dalla sordità del governo

Il governo cerca di far credere che il massacro del 6  dicembre è solo un "incidente fomentato da pochi agitatori". Gli abitanti rispondono: "Dopo il furto delle nostre terre, un anno di petizioni e richieste ignorate del tutto".


Dongzhou (AsiaNews/Scmp) – Il villaggio di Dongzhou era un centro tranquillo nella parte meridionale del Paese che viveva della pesca sul lago Basha e di raccolti: la scorsa settimana è divenuto l'ultimo epicentro della rivoluzione sociale cinese. Dopo il massacro del 6 dicembre – poliziotti che sparano per uccidere manifestanti – il governo ha dichiarato "tutto un incidente, nato da pochi  agitatori che agivano per disprezzo della legge".

La protesta è invece nata dalla requisizione forzata delle terre, dal mancato risarcimento e dal disprezzo mostrato dalla pubblica amministrazione verso le richieste dei contadini. Per più di un anno gli abitanti di Dongzhou si sono lamentati della requisizione delle loro terre da parte del governo locale per la costruzione di una centrale energetica; dicono che le terre sono state vendute a degli investitori esterni senza alcun avvertimento; che il risarcimento che è stato dato loro era il 30 % di quello previsto dalle tabelle governative.

Gli abitanti di Dongzhou affermano di aver cercato l'aiuto del governo con diverse petizioni presentate all'amministrazione statale. Ma esse sono state sempre ignorate. "I rappresentati del governo- racconta uno dei abitanti - come unico gesto, ci hanno offerto una volta fra il 10 ed il 30 % della somma che ci spettava per la requisizione".

La crisi cresce d'intensità a maggio, quando all'ennesima petizione il governo locale risponde con un compenso una tantum di 600 mila yuan (circa 60 mila euro ndr). "Come si può fare questa offerta – dicono gli abitanti – se senza la terra ed il lago noi perdiamo tutto? Non siamo mendicanti".

A luglio, una delegazione di 3 abitanti - Huang Xijun , Lin Hanru e Huang Xianyu – viene arrestata per aver cercato di consegnare un'altra petizione. I 3 vengono rilasciati solo quando i loro amici bloccano le strade che portano ad un villaggio turistico per 24 ore.

Il confronto esplode a settembre, quando il contabile della commissione del villaggio, Huang Jinhe, viene trovato morto in casa di parenti. "Crediamo sia stato ucciso – dice un abitante – perché ha rifiutato di falsificare i conti del villaggio un giorno prima la pubblicazione". La morte del contabile convince i suoi concittadini ad unirsi e chiedere aiuto agli abitanti di Shigongliao, villaggio vicino che ha affrontato problemi simili in passato.

L'unione dei villaggi spinge la polizia ad un primo raid a Dongzhou, per "cercare trafficanti di droga". Il primo ad essere preso è Li Zelong, leader della protesta: "Sappiamo che Li aveva avuto problemi con la droga – dicono gli abitanti - ma ne era uscito anni fa. Lo hanno preso perché ci fidavamo di lui e perché conosce la legge".

L'arresto, avvenuto il 5 dicembre, scatena la protesta e la sua repressione nel sangue: il giorno dopo la "visita" della polizia gli abitanti dei 2 villaggi si recano davanti ad una centrale eolica, sulla strada principale che esce dal villaggio, ed iniziano a colpirla con spranghe e "bombe pesce" (una mistura di fertilizzante e cherosene chiusa in bottiglie di vetro).

A "calmare la popolazione" vengono mandati dal governo locale mille poliziotti in assetto anti-sommossa che "per errore" sparano ed uccidono – secondo la versione ufficiale – 3 persone. Per i residenti, le vittime del massacro sono più di 20.