Il villaggio in cui viveva Uglu Sandi Majhi è stato saccheggiato e bruciato dai radicali indù. Suo figlio di due anni è morto di fame, sete e freddo nella giungla. Parroco di Kotogargh: “Nessuna spada o minaccia fisica può impedire loro di credere in Cristo, nostro Redentore”.
Cuttack-Bhubaneswar (AsiaNews) – “Mio figlio è morto, la mia casa non esiste più perché il mio villaggio è stato distrutto, ma io non posso rinnegare la fede in Gesù Cristo”. Lo afferma ad AsiaNews Uglu Sandi Majhi, sopravvissuto alle violenze contro i cristiani dell’Orissa nell’agosto del 2008. Quando i radicali hanno attaccato il suo villaggio, racconta, “mi sono nascosto con la famiglia nella foresta. Mio figlio Lombusandi Majhi aveva due anni. Siamo rimasti per tre giorni senza cibo né riparo. Nel frattempo ha iniziato a piovere in maniera abbondante, ma non avevamo un altro posto in cui andare. Alla fine mio figlio è morto di freddo, di fame e di sete nella giungla”.
Uglu è originario di Geret, vicino Kotagargh, nel distretto di Kandhamal. Nel villaggio abitavano 12 famiglie cristiane, tutte scappate durante il peggior pogrom che l’India abbia mai vissuto. Il cristiano ricorda: “I criminali hanno portato i camion per saccheggiare tutto quello che avevamo nelle case, compreso il raccolto, gli utensili della cucina e le sedie. Poi hanno incendiato il villaggio”.
Il distretto di Kandhamal è stato il più colpito dalla furia dei radicali indù. I massacri sono scoppiati per punire la comunità cristiana del presunto assassinio dello swami Laxamananda Saraswati, anche se l’omicidio era stato rivendicato dai maoisti. Alla fine del mese di violenze, il bilancio è stato pesantissimo: 120 morti; quasi 56mila fedeli costretti alla fuga; 8mila case bruciate o saccheggiate in 415 villaggi; 300 chiese demolite; 40 donne stuprate; 12mila bambini sfollati e costretti a interrompere gli studi.
Uglu racconta che dopo la fuga, è iniziato il pellegrinaggio in cerca di un luogo in cui poter risiedere. Dapprima si è stabilito nel villaggio di Konoguda, poi in quello di Gosipakal. Qui a poco a poco si è distaccato dai pentecostali, di cui faceva parte, per avvicinarsi alla Chiesa mennonita “Brethren in Christ”. Tileswar Baliarsingh, uno dei catechisti che lo ha accompagnato in questo passaggio, dice: “Visitavo le famiglie e cercano di trasmettere la fede cattolica. Il percorso è durato cinque anni”.
P. Pradosh Chandra Nayak, vicario generale dell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, afferma: “La fede degli abitanti di Geret, costretti a fuggire nella foresta, è molto forte. In particolare in Uglu, che è un autentico fedele di Gesù Cristo, nonostante abbia perso il figlio e le proprietà durante le violenze anti-cristiane. Lottare per i propri diritti, è una grande sfida per loro. Essi hanno accettato la violenza, l’ingiustizia nei loro confronti come sfortuna e cattiva sorte”. P. Stephen Pangola, parroco di Kotogargh, aggiunge: “Ammiro la fede di queste persone semplici. Nessuna spada o minaccia fisica può impedire loro di credere in Cristo, nostro Redentore”.
A fine gennaio la Corte suprema dell’India ha assolto oltre 3.700 imputati dall’accusa di “violenza settaria” per i massacri del Kandhamal. Commentando la notizia, mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, ha detto: “Non è stata fatta giustizia. Abbiamo sempre sperato e pregato per la giustizia, perché i criminali fossero puniti e coloro che hanno sofferto potessero ottenere una ricompensa”.