Coronavirus: Pechino valuta taglio dei tassi; rischio fuga delle imprese straniere

Dopo la Federal Reserve e Hong Kong, si aspetta l’intervento della Banca centrale cinese. Con debito alle stelle, il margine di manovra cinese non è molto ampio. Accademia delle scienze: gli effetti della crisi spingono le imprese straniere a spostare produzione in altri Paesi. Timidi segnali di ripresa finanziaria.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Dopo il taglio di mezzo punto del tasso di interesse deciso dalla Federal Reserve negli Usa, seguito da una medesima mossa da parte di Hong Kong, si aspetta l’intervento della Banca centrale cinese (Pboc).

Misure espansive sono state prese anche dal Giappone, che sta apportando ripetute immissioni di liquidità nel sistema bancario nazionale. Il Fondo monetario internazionale ha messo a disposizione 45 miliardi di euro per i mercati emergenti; 11 miliardi di euro sono stati stanziati dalla Banca mondiale.

Finora gli interventi di Pechino si sono dimostrati insufficienti per riavviare la produzione, come dimostrato da diversi indicatori. Il Worker’s Daily riporta che il 90% delle grandi imprese di Stato ha riaperto i battenti, ma il 70% di quelle medio-piccole (circa 63 milioni) sono ancora ferme al palo.

Lo spazio di manovra della Pboc non è molto ampio però. Le autorità finanziarie cinesi hanno già puntellato le banche del Paese con 800 miliardi di yuan (circa 104 miliardi di euro) a febbraio, quindi la diminuzione dei tassi (che sono al 4,05 al momento) non potrà essere della stessa grandezza di quella operata dagli Stati Uniti. Il rischio da evitare è quello di un aumento del debito nazionale, che è già a livelli molto alti (oltre il 300%, se si considera anche il settore privato e le famiglie).

L’economia cinese rischia la recessione nel primo trimestre del 2020, e un forte rallentamento alla fine dell’anno. Gli effetti del coronavirus spingono le imprese straniere a considerare il trasferimento delle proprie attività fuori della Cina. Il trend è già in corso da qualche anno a causa del crescente costo del lavoro nel Paese e la guerra commerciale con gli Usa.

Secondo l’Accademia delle scienze, se il governo di Pechino non arresterà rapidamente la propagazione del virus, e riporterà la produzione al suo pieno potenziale, la fuga delle aziende straniere sarà inevitabile.

F-Tech, costruttore di parti meccaniche per auto, ha ad esempio già spostato una quota della produzione dagli stabilimenti di Wuhan alle Filippine. I produttori tessili cercheranno di riaprire dove possono trovare manodopera a costi inferiori; le aziende elettroniche, e tutte quelle che non necessitano di lavoro manuale poco qualificato, torneranno invece nei Paesi di origine.

Ciò malgrado, l’economia cinese mostra qualche segnale di ripresa, come il recupero delle borse (+10% dopo il crollo ai primi di febbraio) e l’apprezzamento dello yuan rispetto al dollaro. Gli investitori pensano che il gigante asiatico abbia superato il picco della crisi epidemica e possa rimettersi in moto.