Rohingya a Cox’s Bazar: se il coronavirus raggiunge il campo sarà un disastro
di Sumon Corraya

I profughi vivono stipati e privi di un’adeguata assistenza sanitaria. Rohingya cristiani: il dramma nel dramma. La Caritas distribuisce somme di denaro, volantini informativi, maschere e disinfettante. Le organizzazioni umanitarie chiedono maggiore libertà di stampa e lo stop alla costruzione di una recinto di filo spinato.


Cox’s Bazar (AsiaNews) – “Se il virus raggiunge il campo, sarà un disastro per noi. Viviamo stipati in abitazioni minuscole e non abbiamo strutture sanitarie adeguate”. È il commento preoccupato di Nurul Amin, un profugo Rohingya che vive con la moglie e sette figli nel grande campo di Cox’s Bazar, in Bangladesh.

Un milione di Rohingya, gruppo etnico a stragrande maggioranza musulmano, vive accampato nelle tendopoli di Cox’s Bazar. Negli anni scorsi, essi sono fuggiti dal Myanmar, dove hanno subito pesanti persecuzioni da parte delle Forze armate locali.

Finora, il governo di Dhaka ha messo in quarantena 34 insediamenti di profughi Rohingya. Gli infetti nel Paese sono 70; i decessi si fermano a 8. Le autorità hanno stabilito che l’assistenza ai profughi deve essere ridotta al minimo per prevenire il contagio – a oggi però nel campo continuano ad arrivare operatori stranieri.

Cox’s Bazar ospita alcuni Rohingya di fede cristiana. “Viviamo nel terrore; se qualcuno di noi si ammala, non potremo ricevere le cure necessarie”, racconta uno di loro ad AsiaNews. Per queste persone si tratta di un dramma nel dramma. Il 27 gennaio, 25 famiglie (nel complesso 87 persone) sono state attaccate da estremisti Rohingya.

Insieme al governo e ad alcune Ong, la Caritas sta aiutando i profughi del campo a proteggersi dalla pandemia polmonare. “Abbiamo distribuito 200mila volantini informativi e migliaia di poster nella loro lingua, oltre a mascherine protettive, disinfettante e sapone per le mani”, dichiara Ranjon Francis Rozario, direttore della Caritas in Bangladesh. Sono state donate anche somme di denaro alle autorità locali per affrontare la crisi, e consegnate medicine a cliniche e ambulatori gestiti dalla Chiesa cattolica.

Secondo alcuni giornali nel Paese, una cinquantina di organizzazioni umanitarie hanno chiesto al governo di eliminare le restrizioni all’accesso dei giornalisti a Cox’s Bazar. Inoltre, nella lettera si richiede a la premier Sheikh Hasina di rinunciare al progetto di alzare un recinto di filo spinato attorno al campo. Per gli attivisti, le limitazioni alla libertà di stampa e la costruzione della recinzione rischiano di indebolire gli sforzi per migliorare le condizioni dei profughi.