Moria tragica di vescovi e preti. Il Patriarca Kirill esige obbedienza sulle misure contro il virus
di Vladimir Rozanskij

Tutte le principali strutture gerarchiche della Chiesa ortodossa russa sono alle prese con i problemi del “corona”: Mosca, Kiev, Minsk, molte altre grandi città, i principali monasteri, i seminari e le accademie teologiche. I preti che disubbidiscono alle misure decise dalla Chiesa rischiano la sospensione o la riduzione allo stato laicale. Un novizio di San Sergio, scopertosi positivo al virus, si è dato fuoco. Il livello di fiducia del presidente Vladimir Putin è sceso al 28,3%.


Mosca (AsiaNews) – Crescono sempre più i casi di infezione e decessi di alti esponenti della Chiesa ortodossa, a causa del coronavirus. Per questo il patriarca Kirill (Gundjaev) ha deciso di richiamare tutti i fedeli, con toni anche piuttosto minacciosi, ad assumersi le proprie responsabilità. Il comitato patriarcale ha emesso un comunicato sulle misure da attuare nella crisi del coronavirus. Esso richiama tutti a osservare tali misure “decise nella Chiesa per benedizione del Patriarca dal momento dell’apparizione della minaccia dell’epidemia”. In realtà nel Paese tutti criticano il patriarcato per i suoi ritardi nel reagire alla crisi.

Nel comunicato si afferma che Kirill ha avviato le procedure per “accertare le responsabilità dei sacerdoti” che hanno disobbedito alle prescrizioni. Tale procedura può giungere fino alla sospensione o alla riduzione allo stato laicale. In ogni caso, si raccomanda ai sacerdoti “fedeli” di assicurare l’assistenza pastorale nelle case, con tutte le necessarie precauzioni.

Intanto la moria tragica dei sacerdoti russi continua: è deceduto per coronavirus anche l’arcidiacono Damaskin (Leontev- v. foto 2), primo solista del coro del monastero Sretenskij a Mosca. Un novizio del monastero della Lavra di S. Sergio, Dmitrij Pelinenko, si è ucciso dandosi fuoco, dopo aver ricevuto la diagnosi di infezione da coronavirus e dopo essere fuggito dalla finestra dell’ospedale dove era ricoverato. Il capo del segretariato del patriarcato di Mosca e vicario del patriarca, il vescovo di Pavlovo Foma (Mosolov – v. foto 1), sarebbe stato ricoverato a sua volta il 27 aprile per coronavirus. Era stato appena nominato nuovo parroco della cattedrale patriarcale dell’Epifania a Elokhovo, in sostituzione padre Aleksandr Agejkin, anch’egli morto per l’infezione. Il patriarcato, peraltro, ha smentito la notizia, anche se la cattedrale rimane chiusa per i fedeli.

Altri casi eclatanti si verificano nella zona degli Urali: il metropolita di Celjabinsk Grigorij (Petrov) ha contratto il virus insieme a una decina di sacerdoti, tutti in servizio presso la cattedrale locale di San Simeone, dove avevano concelebrato la veglia pasquale col metropolita. Anche diversi familiari dei sacerdoti sono stati ricoverati con sintomi più o meno gravi del Covid-19. Dopo il ricovero, il metropolita ha deciso di chiudere le chiese a partire da oggi 29 aprile. In pratica, tutte le principali strutture gerarchiche della Chiesa ortodossa russa sono alle prese con i problemi del “corona”, come viene chiamato semplicemente in Russia: l’amministrazione patriarcale, le cattedrali di Mosca, Kiev, Minsk e molte altre grandi città, i principali monasteri, i seminari e le accademie teologiche. È stata diffusa anche la notizia della morte del vescovo di Zheleznogorsk Venjamin (Korolev – v. foto 3), avvenuta domenica 26 aprile. Insomma, a subire le conseguenze della pandemia è stata principalmente la dirigenza della Chiesa patriarcale, insieme ai monaci, molto più dei sacerdoti sposati nelle parrocchie.

Le inadeguate risposte al coronavirus, d’altronde, non riguardano soltanto la Chiesa ortodossa. Il livello di fiducia del presidente Vladimir Putin, secondo i sondaggi di Vitsom, non è mai stato così basso, attestandosi al 28,3% della popolazione. Nelle ultime ventiquattrore il numero degli infetti da coronavirus ha raggiunto i 6411 casi in 83 delle 89 regioni della Federazione Russa, con 72 decessi per un totale di quasi 900 nell’ultimo mese.