Appello dei tribali del Kandhamal: Non abbiamo soldi, né cibo, né un tetto. Aiutateci (Video)
di Nirmala Carvalho

La quarantena imposta dal governo ha reso disoccupati centinaia di milioni di persone, impossibilitate anche a ritornare ai loro villaggi di origine. Mons. John Barwa: “La mia gente sta aiutando l’India a crescere. Essa deve essere trattata con rispetto e dignità. Io attendo che essi ritornino a casa, alle loro famiglie”. La diocesi ha distribuito 20mila razioni di cibo ai migranti del suo territorio.


Cuttack Bhubaneshwar (AsiaNews) – “Siamo tribali di Kandhamal (Orissa), siamo bloccati e in abbandono a Ernakulam (Kerala). Siamo qui con le nostre famiglie e con bambini piccoli. Dall’inizio del lockdown non abbiamo lavoro. Siamo lavoratori a giornata, non abbiamo soldi per niente, per il cibo, o per un tetto. Vi preghiamo, aiutateci!”.

Un video con questo appello circola sui social per spingere le autorità a fare qualcosa per i tribali del Kandhamal (nell’arcidiocesi di Cuttack Bhubaneshwar), bloccati nel Kerala e in altre parti del Paese. Il distretto di Kandhamal è famoso per la presenza di tribali e perché è stato il luogo più colpito dai pogrom anti-cristiani del 2008. Esso è anche uno dei luoghi più poveri. Molti di questi tribali sono emigrati in zone più ricche dell’India per lavorare. Ma la quarantena imposta dal governo a causa del coronavirus, ha provocato la chiusura di molte attività e il blocco dei trasporti, insieme al licenziamento di centinaia di milioni di lavoratori a giornata. Non avendo alcun salario, essi non possono procurarsi né cibo, né alloggio. Il governo ha promesso di organizzare una distribuzione di cibo e il ritorno dei migranti ai loro villaggi di origine, ma tutto avviene troppo lentamente, aumentando i rischi di infezione nelle città e i problemi della fame.

Mediante AsiaNews, anche mons. John Barwa, l’arcivescovo di Cuttack Bhubaneshwar, lancia un appello: “La nostra amata gente non è ancora tornata a casa: essi sono bloccati in tutta l’India. I nostri tribali sono gli ultimi della società e il lockdown li sta schiacciando ancora di più. Quelli di Kandhamal sono la nostra preoccupazione maggiore, da farci bruciare il cuore. Vogliamo che essi tornino a casa, sono la nostra gente…. Sono andati in altri Stati per lavorare, per servire altri Stati con il loro duro lavoro. Questa nostra gente non merita di essere trattata senza dignità: essi sono preziosi. La nostra arcidiocesi è in contatto con villaggi, distretti, Stati, governo per relazionarsi con la nostra gente, avere notizie sulla loro situazione, preoccuparsi che abbiano cibo e un tetto, e attendere che tornino a casa sani e salvi. La mia gente non è specializzata e rischia di essere sfruttata con facilità, ma essi lavorano con valore, per far crescere e sviluppare il commercio, le industrie, le manifatture. La mia gente sta aiutando l’India a crescere. Essa deve essere trattata con rispetto e dignità. Io attendo che essi ritornino a casa, alle loro famiglie”.

Oltre a chiedere il ritorno della sua gente, la Chiesa dell’Orissa è impegnata a venire incontro ai lavoratori migranti presenti nel suo territorio. P. Dibya Parrichar, direttore di Giustizia e Pace dell’arcidiocesi, spiega: “La nostra arcidiocesi, insieme alle Ferrovie, ha distribuito finora almeno 20mila pasti per i poveri e i migranti che sono qui. Essi sono muratori provenienti dal West Bengal che hanno perso il lavoro e quindi sono senza cibo e senza posto per vivere. Da oltre un mese, dall’inizio del lockdown, distribuiamo cibo alle loro famiglie. Abbiamo anche creato una chat per condividere informazioni sulla loro situazione e per diffondere le circolari e le indicazioni del governo. Vi sono diversi volontari che si impegnano”.