Al convegno su “Un’altra Cina”, in occasione dei 150 anni di presenza del Pontificio istituto missioni estere in Cina, il Segretario di Stato vaticano sottolinea il valore “ecclesiale e pastorale” dell’Accordo sino-vaticano. Esso riguarda solo le nomine dei vescovi; è un “punto di partenza” da cui affrontare i “molti altri problemi” vissuti dalla Chiesa in Cina. Ma già oggi l’Accordo aiuta la Chiesa in Cina alla riconciliazione e contribuisce a “un orizzonte internazionale di pace”.
Milano (AsiaNews) – Il Vaticano cerca il dialogo con la Cina proprio come i missionari del Pime (Pontificio istituto missioni estere) che hanno lavorato negli ultimi 150 anni nella nazione cinese. Così il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha caratterizzato il suo intervento al convegno tenutosi oggi al Centro Pime sul tema “Un’altra Cina”, per celebrare i 150 anni di presenza del Pime nell’Impero di mezzo.
Proprio nei giorni in cui si discute sul rinnovo dell'Accordo sino-vaticano e in cui emergono critiche – spesso di tipo politico – il cardinale ha difeso tale impegno per il suo valore “ecclesiale e pastorale”: l’Accordo garantisce la comunione dei vescovi cinesi con il papa e apre a un impegno comune per la pace “a livello mondiale”. Egli ha pure sottolineato che l’Accordo riguarda solo le nomine dei vescovi e che la Santa Sede è cosciente che vi sono “molti altri problemi” nella vita della Chiesa cinese, che andranno affrontati in futuro. L’Accordo – ha affermato – è “un punto di partenza”.
All’inizio della sua esposizione, il porporato ha detto che l’Accordo che la Santa Sede ha firmato due anni fa con la Repubblica popolare cinese ha “radici antiche” di dialogo, che si rifanno a Matteo Ricci: “è la continuazione di un cammino iniziato molto tempo fa” e in cui non è estranea la capacità degli “italiani” ad “universalizzare”, ossia ad entrare nelle altre culture con rispetto e amore.
Ripercorrendo le tappe di un secolo e mezzo di storia – grazie ai contributi di p. Piero Gheddo, p. Angelo Lazzarotto, p. Giancarlo Politi e altri – il cardinale ha ricordato la tenacia evangelizzatrice dei missionari del Pime di fine ‘800, e il loro tentativo di distanziarsi dalle potenze occidentali che per motivi politici dominavano la vita delle comunità cinesi, soprattutto influenzando le gerarchie.
Il card. Parolin ha ricordato le pressioni di p. Paolo Manna perché sorgesse al più presto una gerarchia cinese; l’impegno di p. Tacconi per riconciliare i conflitti fra i signori della guerra; il suggerimento di mons. Simeone Volonteri perché sorgessero rapporti diplomatici fra impero cinese e Santa Sede. Questo impegno “profetico” ha portato alla lettera “Maximum Illud” di Benedetto XV, al Concilio plenario (sinodo) di Shanghai, alla ordinazione dei primi vescovi cinesi.
Il porporato ha poi tratteggiato i problemi sopravvenuti con l’arrivo dei comunisti cinesi al potere nel 1949: la scelta nazionalista di qualche vescovo, la condanna del comunismo da parte di Pio XII, l’espulsione dei missionari stranieri, visti come “come espressione dell’aggressione imperialista”.
La Chiesa cinese, affidata alle mani del clero e dei vescovi locali, ha quindi cercato le vie per crescere nella situazione nuova, collaborando con le autorità senza produrre “né scismi né apostasie”. La maggioranza del clero e dei vescovi rifiutò il movimento delle tre autonomie (per una Chiesa indipendente dal papa), ma questo creò pregiudizi di anti-patriottismo verso la Chiesa.
Il cardinale ha citato con ampiezza Pio XII (Lettera apostolica Cupimus in primis,18 gennaio 1952) che ribadisce la grande stima della Chiesa verso la Cina, il non voler essere al “servizio di una particolare potenza” e sottolineando che i cattolici “a nessuno sono inferiori nell'amore di patria”. Il porporato ha fatto notare che queste frasi sono molto simili ai tanti appelli lanciati da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco sull’essere “buoni cattolici” e “buoni cittadini”.
La pressione “patriottica” ha però prevalso, dando inizio alle “ordinazioni illegittime”. Il card. Parolin ricorda però che il fondamento posto dai missionari nella vita della Chiesa cinese è rimasto fedele alla tradizione. E anche se “alcuni pastori ‘sotto la spinta di circostanze particolari hanno acconsentito a ricevere l'ordinazione episcopale senza il mandato pontificio”, in seguito, su loro richiesta, “il Papa, considerando la sincerità dei loro sentimenti e la complessità della situazione […] ha concesso ad essi il pieno e legittimo esercizio della giurisdizione episcopale” (v. Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, n. 8).
Di fatto, solo con l’Accordo sino-vaticano, firmato il 22 settembre 2018, si è ricostituita la piena comunione di tutti i vescovi cinesi con il papa.
“Negli ultimi settant’anni – sintetizza il porporato - molte battaglie difficili sono state perse e, talvolta, sono state perse anche battaglie che si sarebbero potute vincere se ci fosse stata un po’ più di buona volontà. Ma è stata vinta la battaglia più importante: fidem servare”, e ciò è avvenuto per “grazia di Dio”, la fede dei “cattolici cinesi” e l’aiuto “dei missionari”: “non c’ è dubbio che la comunità cattolica che negli ultimi settant’anni è vissuta in Cina senza i missionari è figlia della loro opera”.
Parlando poi dei giorni nostri, il card. Parolin ha messo in luce l’urgenza di un “dialogo fra tra la Chiesa cattolica e le autorità cinesi”, che la Chiesa ricerca fin dai primi anni ’50 e che solo ora, con l’Accordo sino-vaticano, sembra aver avuto inizio: esso costituisce “un punto di partenza”.
Il cardinale ha voluto anche citare alcuni “malintesi” sorti sull’interpretazione di questo Accordo. “L’Accordo del 22 settembre 2018 – ha precisato - concerne esclusivamente la nomina dei vescovi. Sono consapevole dell’esistenza di molti altri problemi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina. Ma non è stato possibile affrontarli tutti insieme e sappiamo che il cammino per una piena normalizzazione sarà ancora lungo, come già prevedeva Benedetto XVI nel 2007. Tuttavia la questione della nomina dei vescovi riveste una particolare importanza. È infatti il problema che più ha fatto soffrire la Chiesa cattolica in Cina negli ultimi sessant’anni”.
Egli ha ricordato che “fino a due anni fa, … la possibilità di nuove ordinazioni illegittime è sempre rimasta aperta e fino a pochi anni fa nuovi vescovi cinesi sono stati ordinati illegittimamente”. Ora questo problema è risolto “definitivamente”.
Proprio per questo, ha continuato, “l’obiettivo dell’Accordo è anzitutto ecclesiale e pastorale” e tende ad “aiutare le Chiese locali affinché godano condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione, in modo tale che possano dedicarsi alla missione di annunciare il Vangelo e di contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società”.
Dopo aver ricordato che l’Accordo potrà favorire – come è desiderio di Francesco – la riconciliazione interna della Chiesa, il card. Parolin ha messo in luce un altro obiettivo: “il consolidamento di un orizzonte internazionale di pace, in questo momento in cui stiamo sperimentando tante tensioni a livello mondiale”.