Jakarta, sindacati e cittadini contro la nuova legge quadro sul lavoro
di Mathias Hariyadi

Nel mirino la “Omnibus Law” varata dal governo e approvata ieri dal Parlamento. Secondo i critici essa favorisce lo sfruttamento e rischia di avere ripercussioni sull’ambiente, in particolare le foreste tropicali. I promotori rivendicano una norma che regola il mercato e favorisce gli investimenti esteri. L’ipotesi di uno sciopero generale.


Jakarta (AsiaNews) - Proteste di massa e minacce di uno sciopero generale, con le forze del settore tutte riunite in piazza pur in un momento critico dovuto alla pandemia globale di nuovo coronavirus. I sindacati in Indonesia hanno dichiarato guerra alla nuova legge quadro sul lavoro, meglio nota come “Omnibus Law”, approvata ieri dal Parlamento (Dpr) in seduta plenaria con il voto favorevole di sette partiti, due i contrari, perché finisce per “legalizzare” lo sfruttamento. 

Fin dai primi momenti della sua stesura, la nuova norma aveva sollevato malcontento e dissapori fra i lavoratori e le forze sindacali; ora che è entrata in vigore in via ufficiale, le associazioni di categoria hanno già annunciato uno sciopero generale che coinvolgerà diverse città più o meno grandi dell’arcipelago indonesiano. 

L’obiettivo della nuova legge quadro è fare chiarezza in un settore ingarbugliato da norme contrapposte, perché a ogni cambio di amministrazione - regionale o centrale - si è assistito in passato all’introduzione di nuove norme sul lavoro. La Omnibus Law intende sintetizzare e rendere armoniche fra loro 70 leggi già esistenti in un unico “pacchetto”, per accelerare le riforme economiche e attirare investimenti. 

Imprenditori e uomini di affari internazionali hanno guardato con attenzione all’Indonesia ma, negli ultimi tempi, hanno preferito scegliere altre destinazioni per le troppe proteste e manifestazioni di lavoratori che chiedevano maggiori garanzie e salari adeguati. Dimostrazioni che, a detta degli investitori, sono il segno di un clima di instabilità interno e che hanno portato a scegliere altre mete nella regione Asean, fra cui il Vietnam oggi opzione numero uno per i mercati. 

Nell’aprile 2019 il presidente indonesiano Joko “Jokowi” Widodo ha manifestato le proprie preoccupazioni sottolineando, durante un vertice con i ministri, che “23 imprese cinesi si sono trasferite in Vietnam, altre 10 in Malaysia o Thailandia. In precedenza, nel 2017 una settantina di aziende giapponesi avevano lasciato l’arcipelago ricollocando investimenti e infrastrutture in altre nazioni del Sud-est asiatico considerate più affidabili. 

In questo contesto si inserisce la decisione del governo di approvare una nuova norma quadro che, secondo i sindacati, è in realtà un “tappeto rosso” steso alle multinazionali per sfruttare i lavoratori locali, con salari bassi e condizioni precarie. La norma consentirebbe inoltre l’esproprio di terre agli agricoltori e alle popolazioni indigene, privandole del loro habitat naturale. 

In questo contesto già complicato si inserisce la pandemia di nuovo coronavirus che, in pochi mesi, ha determinato un crollo di 8,1 milioni di dollari in investimenti esteri. Esperti e analisti sottolineano la necessità di una riforma del mercato del lavoro in Indonesia, senza che queste vadano a discapito dell’ambiente e delle popolazioni locali. La nuova norma che regola il mercato del lavoro, spiega alla Reuters lo studioso Peter van der Werf, “rischia di avere un impatto negativo” sull’ecosistema naturale, in particolare sulle foreste tropicali di cui è ricco l’arcipelago.