Papa: nell'enciclica l'amore che si fa dono di sé all'altro

Seconda anticipazione di Benedetto XVI sui temi di "Deus caritas est", la sua prima enciclica. Ai membri di Cor Unum: La carità non è un optional; all'Agape di Dio deve corrispondere l'agape della Chiesa.


Città del Vaticano (AsiaNews) – "Deus caritas est", la prima enciclica di Benedetto XVI, che sarà pubblicata il 25, partendo dall'immagine cristiana di Dio, mostra "come l'uomo è creato per amare e come questo amore, che inizialmente appare soprattutto come eros tra uomo e donna, deve poi interiormente trasformarsi in agape, in dono di sé all'altro – e ciò proprio per rispondere alla vera natura dell'eros". E' il filo conduttore che tiene "unico" il contenuto del documento. E' stato lo stesso Papa a raccontare così, oggi, l'enciclica, da lui voluta per "dare risalto alla centralità della fede in Dio – in quel Dio che ha assunto un volto umano e un cuore umano" ed affermare che "la fede non è una teoria che si può far propria o anche accantonare. È una cosa molto concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita".

Benedetto XVI ha preso occasione per la sua seconda "anticipazione" dell'enciclica dopo quella fatta mercoledì scorso all'udienza generale, dall'udienza ai partecipanti ad un incontro promosso da "Cor Unum".  "Volevo – ha spiegato il Papa - tentare di esprimere per il nostro tempo e per la nostra esistenza" il concetto dantesco della "escursione cosmica", quella "Luce che al contempo è "l'amor che move il sole e l'altre stelle" (Par. XXXIII, v. 145)". Un "cerchio trinitario di conoscenza e amore" nel quale "è la percezione di un volto umano – il volto di Gesù Cristo – che a Dante appare nel cerchio centrale della Luce". E'  "la novità di un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto umano, anzi ad assumere carne e sangue, l'intero essere umano. L'eros di Dio non è soltanto una forza cosmica primordiale; è amore che ha creato l'uomo e si china verso di lui".

"La parola "amore" – ha detto poi - oggi è così sciupata, così consumata e abusata che quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra. Eppure è una parola primordiale, espressione della realtà primordiale; noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla sulla retta via. È stata questa consapevolezza che mi ha indotto a scegliere l'amore come tema della mia prima Enciclica".  "In un'epoca nella quale l'ostilità e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso della religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte. Così, in questa Enciclica, i temi "Dio", "Cristo" e "Amore" sono fusi insieme come guida centrale della fede cristiana. Volevo mostrare l'umanità della fede, di cui fa parte l'eros – il "sì" dell'uomo alla sua corporeità creata da Dio, un "sì" che nel matrimonio indissolubile tra uomo e donna trova la sua forma radicata nella creazione. E lì avviene anche che l'eros si trasforma in agape – che l'amore per l'altro non cerca più se stesso, ma diventa preoccupazione per l'altro, disposizione al sacrificio per lui e apertura anche al dono di una nuova vita umana. L'agape cristiana, l'amore per il prossimo nella sequela di Cristo non è qualcosa di estraneo, posto accanto o addirittura contro l'eros; anzi, nel sacrificio che Cristo ha fatto di sé per l'uomo ha trovato una nuova dimensione che, nella storia della dedizione caritatevole dei cristiani ai poveri e ai sofferenti, si è sviluppata sempre di più".

E' così che, "partendo dall'immagine cristiana di Dio, bisognava mostrare come l'uomo è creato per amare e come questo amore, che inizialmente appare soprattutto come eros tra uomo e donna, deve poi interiormente trasformarsi in agape, in dono di sé all'altro – e ciò proprio per rispondere alla vera natura dell'eros. Su questa base si doveva poi chiarire che l'essenza dell'amore di Dio e del prossimo descritto nella Bibbia è il centro dell'esistenza cristiana, è il frutto della fede. Successivamente, però, in una seconda parte bisognava evidenziare che l'atto totalmente personale dell'agape non può mai restare una cosa solamente individuale, ma che deve invece diventare anche un atto essenziale della Chiesa come comunità: abbisogna cioè anche della forma istituzionale che s'esprime nell'agire comunitario della Chiesa. L'organizzazione ecclesiale della carità non è una forma di assistenza sociale che s'aggiunge casualmente alla realtà della Chiesa, un'iniziativa che si potrebbe lasciare anche ad altri. Essa fa parte invece della natura della Chiesa. Come al Logos divino corrisponde l'annuncio umano, la parola della fede, così all'Agape, che è Dio, deve corrispondere l'agape della Chiesa, la sua attività caritativa. Questa attività, oltre al primo significato molto concreto dell'aiutare il prossimo, possiede essenzialmente anche quello del comunicare agli altri l'amore di Dio, che noi stessi abbiamo ricevuto". (FP)