Dimostrazioni a Yangon e Lashio. L’Onu condanna l’uso di proiettili letali, di gas lacrimogeni e granate assordanti contro i manifestanti. Aung San Suu Kyi in tribunale. Un capo della polizia di Yangon, Tin Min Tun, dichiara di “non voler servire sotto il presente regime militare”. Tom Andrews, esperto Onu per i diritti umani in Myanmar: Le parole non bastano. Bisogna agire.
Yangon (AsiaNews) – Ancora dimostrazioni oggi in diverse parti del Paese, dopo la sanguinosa giornata di ieri. I manifestanti gridano che la “democrazia è la nostra causa” e che lotteranno “fino alla fine”, mentre l’esercito sembra aver innalzato il livello di violenza contro la folla.
Nella capitale economica, la polizia ha usato blindati e idranti per disperdere la folla che si è radunata in diversi quartieri; altre marce si registrano a Lashio (nello Stato Shan).
Sui social e a voce i manifestanti gridano che quello che stanno vivendo non è un “disordine sociale” (come la giunta militare definisce le manifestazioni), ma “è una violenza causata dal gen. Min Aung Hlaing”, il capo supremo dell’esercito e del colpo di Stato.
Ieri, in diverse città, e soprattutto a Yangon, la polizia e l’esercito hanno aperto il fuoco contro la folla, uccidendo, lanciando gas lacrimogeni e caricando i dimostranti. Religiosi e religiose cristiani e buddisti hanno manifestato domandando ai poliziotti di non sparare sulla folla (foto 2 e 3).
Secondo l’Ufficio Onu per i diritti umani “la polizia e i militari si sono scontrati con dimostrazioni pacifiche usando forza letale e meno letale che hanno lasciato almeno 18 persone uccise e oltre 30 ferite. Le morti sono avvenute per l’uso di proiettili letali sparati sulla folla a Yangon, Dawei, Mandalay, Myeik, Bago e Pokokku. In diverse località sono stati usati gas lacrimogeni, flash-bang e granate assordanti”.
La popolazione non smette di domandare la liberazione di Aung San Suu Kyi, che oggi si è presentata davanti ai giudici, accusata di aver acquistato illegalmente dei walkie talkie e di aver violato le direttive anti-Covid.
Intanto, già da alcuni giorni si registrano defezioni dalla polizia, che vanno ad aggiungersi ai dimostranti. Quest’oggi è stato diffuso un video in cui un maggiore della polizia di Yangon, Tin Min Tun (foto 4), ha dichiarato di “non voler servire sotto il presente regime militare”. Sui social egli ricorda di aver servito la polizia dal 1989 e afferma: “Se questo regime militare rimane al potere, non raggiungeremo ciò che volgiamo nei prossimi 20 o 25 anni. Perderemo ancora una volta”.
Nella comunità internazionale si levano molte condanne, ma i Paesi dell’Asean, insieme a Cina, Russia e India rimangono piuttosto cauti e desiderosi di non rompere con i nuovi leader militari.
Tom Andrews, esperto dell’Onu per i diritti umani in Myanmar ha chiesto un maggior coinvolgimento della comunità internazionale contro la giunta. Egli ha proposto un embargo sulle armi vendute e sanzioni da più nazioni verso i responsabili del colpo di stato, oltre a una denuncia presso il Tribunale internazionale.
“Le parole di condanna sono benvenute – ha aggiunto, ma sono insufficienti. Dobbiamo agire”.