Papa: in Iraq per incontrare un popolo che ha tanto sofferto e quella Chiesa martire

All’udienza generale Francesco chiede di pregare per il viaggio che inizia venerdì. In Myanmar “le aspirazioni di pace non siano soffocate dalla violenza”. Prima di conoscere Gesù, ha detto, “noi davvero non sapevamo come si potesse pregare: quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi fossero appropriati per Dio”


Città del Vaticano (AsiaNews) – Papa Francesco spera di poter fare “bene” il viaggio in Iraq, che comincerà dopodomani, venerdì. “Da tempo – ha detto al termine dell’udienza generale di oggi - desidero incontrare quel popolo che ha tanto sofferto, quella Chiesa martire. Insieme ad altri leader religiosi faremo un altro passo verso la fratellanza”. Ricordato poi che quella visita fu impedita a Giovanni Paolo II, ha aggiunto che “non si può deludere un popolo per la seconda volta”.

Prima di chiedere preghiere per la visita in Iraq, Francesco è tornato a parlare delle “tristi notizie di sanguinosi scontri” che vengono dal Myanmar, chiedendo “alle autorità coinvolte, perché il dialogo prevalga sulla repressione e l’armonia sulla discordia”. Il Papa si è rivolto inoltre alla comunità internazionale, affinché “si adoperi perché le aspirazioni di pace non siano soffocate dalla violenza”. “Ai giovani di quella amata terra – ha aggiunto – sia concessa la speranza di un futuro dove l’odio e l’ingiustizia lascino spazio all’incontro e alla riconciliazione”. “Ripeto - ha concluso - l’auspicio espresso un mese fa, che il cammino verso la democrazia intrapreso negli ultimi anni dal Myanmar possa riprendere attraverso il gesto concreto della liberazione dei diversi leader politici incarcerati”.

In precedenza, proseguendo nel ciclo di catechesi dedicato alla preghiera, Francesco ha illustrato il tema “La preghiera e la Trinità”. Prima di conoscere Gesù, ha detto, “noi davvero non sapevamo come si potesse pregare: quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi fossero appropriati per Dio”. Nella richiesta dei discepoli “Signore, insegnaci a pregare”, c’è “tutto il brancolamento dell’uomo, i suoi ripetuti tentativi, spesso falliti, di rivolgersi al Creatore: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Non tutte le preghiere sono uguali, e non tutte sono convenienti: la Bibbia stessa ci attesta il cattivo esito di tante preghiere, che vengono respinte. Forse Dio a volte non è contento delle nostre orazioni e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Dio guarda le mani di chi prega: per renderle pure non bisogna lavarle, semmai bisogna astenersi da azioni malvage”.

“Ma forse il riconoscimento più commovente della povertà della nostra preghiera è fiorito sulle labbra di quel centurione romano che un giorno supplicò Gesù di guarire il suo servo malato (cfr Mt 8,5-13). Egli si sentiva del tutto inadeguato: non era ebreo, era ufficiale dell’odiato esercito di occupazione. Ma la preoccupazione per il servo lo fa osare, e dice: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (v. 8). È la frase che anche noi ripetiamo in ogni liturgia eucaristica. Dialogare con Dio è una grazia: noi non ne siamo degni, non abbiamo alcun diritto da accampare, ‘zoppichiamo’ con ogni parola e ogni pensiero… Però Gesù è una porta che si apre”.

“Perché – ha chiesto poi - l’uomo dovrebbe essere amato da Dio? Non ci sono ragioni evidenti, non c’è proporzione… Tanto è vero che in buona parte delle mitologie non è contemplato il caso di un dio che si preoccupi delle vicende umane; anzi, esse sono fastidiose e noiose, del tutto trascurabili”. Mentre “un Dio che ama l’uomo, noi non avremmo mai avuto il coraggio di crederlo se non avessimo conosciuto Gesù”,

“Quale Dio è disposto a morire per gli uomini? Quale Dio ama sempre e pazientemente, senza la pretesa di essere riamato? Quale Dio accetta la tremenda mancanza di riconoscenza di un figlio che gli chiede in anticipo l’eredità e se ne va via di casa sperperando tutto?”. “E’ Gesù a rivelare il cuore di Dio”.  “Gesù ci racconta con la sua vita in che misura Dio sia Padre. Nessuno è Padre come lui: la paternità, che è vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimentichiamo – ha ripetuto - queste tre parole, che sono lo stile di Dio, è il modo di esprimere la sua paternità con noi”.

“Noi – ha detto poi - immaginiamo a fatica e molto da lontano l’amore di cui la Trinità Santissima è gravida, e quale abisso di benevolenza reciproca intercorra tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Le icone orientali ci lasciano intuire qualcosa di questo mistero che è l’origine e la gioia di tutto l’universo. Soprattutto era lungi da noi credere che questo amore divino si sarebbe dilatato, approdando sulla nostra sponda umana: siamo il termine di un amore che non trova eguali sulla terra. Il Catechismo spiega: «La santa umanità di Gesù è la via mediante la quale lo Spirito Santo ci insegna a pregare Dio nostro Padre» (n. 2664). È la grazia della nostra fede. Davvero non potevamo sperare vocazione più alta: l’umanità di Gesù ha reso disponibile per noi la vita stessa della Trinità. Ha aperto, spalancato questa porta dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.