Giornata dedicata al dialogo tra le fedi, iniziata con la visita al leader degli sciiti iracheni, Al-Sistani e proseguita con l’incontro interreligioso a Ur dei Caldei, luogo benedetto che “ci riporta” alla nascita delle “nostre religioni”. “Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione”.
Baghdad (AsiaNews) – E’ compito dei credenti affermare la fratellanza tra i popoli, negare la possibilità che la fede giustifichi la violenza, impegnarsi per combattere dominio del denaro e diffusione delle armi. La prima parte del secondo giorno del viaggio di papa Francesco in Iraq è in certo modo centrale per lo spirito della visita, è infatti dedicata all’incontro tra le fedi, al dialogo interreligioso.
La mattina si apre con il volo per Najaf. E’ la città santa degli sciiti, dove Francesco incontra il Grande ayatollah Al-Sistani, guida degli sciiti iracheni. A Najaf c’è la tomba del primo Imam degli sciiti, Alì, cugino e genero di Maometto. Oltre alle moschee, ai santuari e alle scuole religiose, la città santa dello sciismo iracheno è nota per il cimitero Wadi al-Salam, il più grande del mondo, perché gli sciiti credono che essere sepolti a Najaf garantisca l'ingresso in paradiso.
Il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani ha accolto il Papa “in piedi”, segno di deferenza. Una nota vaticana dice che “durante la visita di cortesia, durata circa quarantacinque minuti, il Santo Padre ha sottolineato l’importanza della collaborazione e dell’amicizia fra le comunità religiose perché, coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità. L’incontro è stata l’occasione per il Papa di ringraziare il Grande Ayatollah Al-Sistani perché, assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno. Nel congedarsi dal Grande Ayatollah, il Santo Padre ha ribadito la sua preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità per l’amata terra irachena, per il Medio Oriente e per il mondo intero”.
Significativi i cartelli che lungo la strada che va dall’aeroporto alla residenza del grande Ayatollah – che si trova all’interno del Santuario dedicato all’Imam Alì – sui quali campeggiava la scritta “Voi siete parte di noi e noi siamo parte di voi”, con sotto raffigurati i volti del Papa e di Al-Sistani. L’ufficio del quale ha detto che durante l'incontro, al-Sistani ha ringraziato Francesco per aver fatto uno sforzo per recarsi a Najaf e gli ha detto che i cristiani in Iraq dovrebbero vivere "come tutti gli iracheni in sicurezza e pace, e con i loro pieni diritti costituzionali".
Da Najaf a Ur dei Caldei, dove a Giovanni Paolo II fu impedito di andare. E’ il luogo di nascita di Abramo, il Patriarca che unisce ebrei, cristiani e musulmani, città che Dio chiese ad Abramo di lasciare per andare nella terra a lui destinata.
Luogo benedetto che “ci riporta” alla nascita delle “nostre religioni” lo definisce il Papa nelle sue parole per l’incontro interreligioso che significativamente si svolge qui. Ci sono rappresentanti di tutte le religioni presenti nel Paese, canti, letture dalla Bibbia e dal Corano, testimonianze di vicinanza tra persone di fede diversa.
“Chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti”, dice Francesco. “Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo – ribadisce - affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio!”.
Qui, aggiunge, Abramo “sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio”. E “sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa”.
E anche oggi, come già ieri, parlando delle “nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza”, che hanno colpito tutte le comunità etniche e religiose, ricorda gli yazidi, che hanno pianto la morte di molti uomini e visto “migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate”. “Oggi preghiamo - afferma - per quanti hanno subito tali sofferenze, per quanti sono ancora dispersi e sequestrati, perché tornino presto alle loro case. E preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato”
“Non ci sarà pace – dice poi - senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. Chiediamolo nella preghiera per tutto il Medio Oriente, penso in particolare alla vicina, martoriata Siria”.
“Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi”. (FP)