Anche oggi manifestazioni a Tarkata (Yangon), nello Shan del nord, a Dawei, Mandalay, Kyaukme, Hpa-an. Win Htein, della Ndl, sarà processato con l’accusa di “sedizione” e rischia 20 anni di carcere. L’82enne militante è malato e vive su una sedia a rotelle, con problemi di respirazione, diabete e prostata. La sua richiesta di rilascio su cauzione è stata rifiutata. La madre di un giovane 17enne di origine cinese ucciso: “Abbiamo bisogno della democrazia”.
Yangon (AsiaNews) – Un giovane 20enne è stato ucciso ieri pomeriggio dalle forze di sicurezza schierate a South Dagon, una zona vicina a Yangon (foto 1). Il giovane, Myo Lai, è stato colpito con un proiettile alla testa, mentre con altri dimostranti cercava di ritirarsi. Un altro ragazzo di 14 anni è rimasto ferito. Almeno 20 dimostranti e 10 residenti locali sono stati arrestati.
La lista degli uccisi si allunga. Diverse fonti confermano che ieri è stato ucciso un 43enne a Loikaw, nello Stato Kaya; altri otto sono stati uccisi ad Aungban (Stato Shan del sud). Secondo il gruppo Aapp (Associazione per l’assistenza dei prigionieri politici), dal colpo di Stato del primo febbraio sono state uccise 237 persone.
Il sangue versato non frena le manifestazioni (foto 2). Anche oggi si registrano raduni e proteste a Tarkata (Yangon), nello Shan del nord, a Dawei, Mandalay, Kyaukme, Hpa-an.
Il processo contro Win Htein
Nel tentativo di sopprimere ogni rivolta, la giunta ha trovato nuove accuse contro Aung San Suu Kyi, vincitrice delle elezioni del novembre scorso, e contro membri del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Ndl). Molti suoi membri sono stati arrestati in raid notturni.
Il regime prepara anche processi che tendono ad eliminare ogni opposizione, in una riedizione delle purghe staliniane o maoiste.
Ieri, Myanmar Now, annunciava che il 2 aprile prossimo vi sarà un’udienza in preparazione al processo contro Win Htein, uno dei grandi sostenitori della Ndl (foto 3). Egli è stato arrestato il 4 febbraio, qualche giorno dopo l’inizio del colpo di Stato, per aver dato interviste a media stranieri criticando la giunta. Per questo egli sarà processato con l’accusa di “sedizione” e rischia 20 anni di carcere.
L’82enne militante è malato e vive su una sedia a rotelle, con problemi di respirazione, diabete e prostata. La sua richiesta di rilascio su cauzione è stata rifiutata.
Le reazioni di Onu e Asean
Ieri, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha di nuovo condannato la “brutale violenza” dei militari e ha chiesto una “ferma, unita e internazionale risposta”. L’esperto Onu Tom Andrews, denunciando su Twitter i violenti attacchi dei generali contro la popolazione, ha detto che “il mondo deve rispondere tagliando il loro accesso ai soldi e alle armi. Adesso”.
Nella comunità internazionale aumentano le condanne al regime militare e alla sua violenza. Dopo l’intervento del presidente indonesiano Widodo, anche il premier malaysiano Muhyiddin Yassin si è detto “inorridito” per il continuo uso di forza letale contro civili disarmati.
Egli ha detto che l’Asean (l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) non può “vedere una nazione sorella come il Myanmar essere così destabilizzata dalle mani di un gruppo selezionato che cerca di promuovere solo i propri interessi”. Il ministro filippino degli Esteri, Teodoro Locsin, ha espresso identiche preoccupazioni e ha chiesto una qualche azione dell’Asean, che però è nota per il suo principio di “non intervento negli affari interni” di un loro associato.
Cina e democrazia
Sui social, il Paese più criticato per il suo “non intervento” è la Cina, sospettata di fornire aiuti militari e sostegno diplomatico alla giunta, una posizione tenuta da Pechino da almeno 50 anni. Finora la Cina ha detto di non essere soddisfatta della situazione di tensione presente nel Paese e chiede un ritorno alla calma. Il 14 marzo, alcune fabbriche cinesi sono state incendiate nel quartiere di Hlaing Tharyar e l’ambasciata cinese ha domandato alle “autorità del Myanmar di imporre misure efficaci per far finire tutti gli atti di violenza”. Secondo i giornali cinesi, sono state attaccate 32 fabbriche, ma secondo alcuni residenti del quartiere – intervistati dall’Ap – solo 5 fabbriche sono state colpite. In più, molti si domandano come sia stato possibile per i dimostranti appiccare il fuoco agli edifici, dato che le fabbriche sono circondate da alte mura guardate a vista dal personale di sicurezza.
Il 14 marzo, durante una dimostrazione è stato ucciso anche Khant Nyar Hein, un giovane studente di medicina di 17 anni (foto 4). Khant è di origine cinese. La polizia non ha voluto nemmeno dare il corpo alla famiglia. Al funerale, sua madre ha condannato la violenza dei militari e in un appello ha gridato: “Il mio cuore soffre… Dovete pensare a noi, gente comune. Abbiamo bisogno della democrazia. Abbiamo bisogno della giustizia. Abbiamo bisogno della libertà”. L’appello era forse rivolto anche alla Cina.