Parroco di Gaza: Una Pasqua ‘viva e partecipata’, oltre il Covid-19

I casi di nuovo coronavirus sono in aumento nella Striscia, ma la pandemia non ferma il desiderio di partecipazione. Anche per quest’anno Israele non ha concesso alcun permesso di uscita, sfruttando l’emergenza sanitaria per stringere le maglie. P. Romanelli: nel contesto di un periodo incerto, la fede esce rafforzata. E invita ad “alimentare la voglia di vivere con opere e preghiera”. 


Gaza (AsiaNews) - “Incertezza” per i casi di Covid-19 in aumento, profondo desiderio di “partecipare alle celebrazioni della Pasqua” bloccate lo scorso anno nella prima fase dell’emergenza sanitaria globale; “difficoltà” di una comunità “chiusa al mondo esterno”. E se in Israele e a Gerusalemme si intravede la luce come ha detto il patriarca Pizzaballa, nella Striscia la pandemia si somma alle sofferenze di un popolo che da tempo vive in una prigione a cielo aperto ma che “non ha perso la fede”. Così il parroco di Gaza p. Gabriel Romanelli, sacerdote argentino del Verbo incarnato, racconta ad AsiaNews il clima della Settimana Santa che è “di grande partecipazione, con oltre il 90% dei cattolici presenti alle funzioni, assieme a decine di ortodossi”. 

“Qui in parrocchia - racconta il sacerdote - a dispetto di alcune restrizioni, le persone possono vivere e partecipare a tutte le celebrazioni. Le autorità [di Hamas] hanno imposto il divieto di viaggiare in macchina, lo si può fare a piedi o in bicicletta, ma ai cristiani hanno concesso un permesso speciale prendendo le targhe, perché molti vivono lontano dalla chiesa e la raggiungono solo con un'auto. Lo scorso anno a Pasqua erano presenti solo i religiosi e le religiose, mentre questo anno possiamo celebrare con il nostro popolo”.

Guardando ai numeri, la pandemia di Covid-19 sembra in espansione con oltre un migliaio di casi il 30 marzo scorso, dato più alto degli ultimi mesi. Il picco stride con il crollo a Gerusalemme e in Israele, grazie alla massiccia campagna di vaccinazione promossa dal premier uscente Benjamin Netanyahu, in concomitanza con le elezioni politiche. Magdy Dahir, del ministero della Sanità di Gaza, parla di “situazione epidemiologica pericolosa” con oltre 65mila casi e 610 vittime su una popolazione di due milioni di abitanti. Una realtà a lungo “miracolata” a causa delle chiusure, anche se a ottobre il virus è riuscito a penetrare vincendo l’isolamento.

“Nonostante la pandemia - spiega p. Romanelli - i fedeli desiderano essere presenti, come è successo nei giorni scorsi con le messe, i rosari, le confessioni e la Via Crucis drammatizzata la settimana scorsa dei giovani, molto partecipata (nelle foto). Ancora, la processione della domenica delle Palme preparata dagli scout, che dopo tanti anni sono tornati a suonare tamburi e cornamuse. Il Giovedì Santo, in occasione della lavanda dei piedi, era presente almeno un rappresentante di ciascuna famiglia cattolica di Gaza. Noi siamo 133 in tutto, di cui 13 religiosi, quindi il numero è esiguo ma la fede e il senso di comunità è radicato nel profondo”. 

“Oggi - prosegue il parroco - è prevista la distribuzione di uova, cioccolata e acqua benedetta, mentre domani abbiamo in programma la solenne processione eucaristica con il Cristo risorto. Eventi che, almeno in parte, toccano anche i musulmani visto che quanti abitano nei pressi della parrocchia o sono vicini a istituzioni cristiane non mancano di farci gli auguri. Diverso il discorso a livello di autorità, che preferiscono farli a Natale, quando si celebra la nascita di Gesù, mentre tendono a non riconoscere sul piano ufficiale la morte e resurrezione. Tuttavia, in tema di dialogo, il viaggio di papa Francesco in Iraq è stato importante, perché ha dato nuova visibilità e restituito tutto il loro ruolo e importanza ai cristiani del Medio oriente, condannando al contempo senza mezzi termini il terrorismo in nome della religione, anche islamico col riferimento all’Isis”.

Il grande rammarico resta legato all’impossibilità di uscire dalla Striscia e vivere le celebrazioni a Gerusalemme o da amici e parenti in Cisgiordania. Già in passato i permessi rilasciati da Israele erano pochi, e rari; la pandemia di Covid li ha azzerati e da oltre un anno è quasi impossibile uscire. “Israele non ha dato alcun segno di apertura, e anche i permessi che noi stranieri dobbiamo ottenere sono aumentati: passaporto, visto religioso, via libera dell’autorità militare e ora anche un iter che vede il coinvolgimento della diocesi, di un'organizzazione terza e delle autorità israeliane, che poi danno il nulla osta. La burocrazia è aumentata... meno male che Hamas, meglio di tanti governi di nazioni ‘cristiane’ in Occidente, ha permesso di mantenere aperte e partecipate le celebrazioni qui nella Striscia. Del resto la popolazione di Gaza è da tempo abituata a vivere in prigione, quindi prende le ulteriori restrizioni e i divieti con ironia, dicendo ‘noi siamo confinati da sempre’’.

Resta il desiderio di vivere la fede e di farlo con grande gioia e speranza, perché “anche la pandemia, come le guerre e i grandi eventi drammatici del passato, un giorno verrà superata”. E la fede resta un motore essenziale “per trovare il coraggio, questo è il mio invito per Pasqua: bisogna tornare in chiesa, andare alla messa, vivere la celebrazione con fede gioiosa e ancorati alla presenza del Cristo nell’Eucaristia. La seconda cosa è non perdere il senso comune, tutto questo passerà ma nel frattempo non dobbiamo abbandonare i poveri, gli anziani e non dobbiamo trascurare noi stessi. Non arrendiamoci, ma alimentiamo - conclude il parroco - la voglia di vivere con le opere e con la preghiera... noi stiamo aspettando il caldo per una bella gita di comunità al mare!”.